Scene da un matrimonio, che, forse, presto finirà. È quello tra Mediobanca e le Generali, legate l’una all’altra sin dal 1956, quando la banca d’affari allora guidata da Enrico Cuccia comprò il suo primo pacchetto azionario della compagnia.

Le pratiche che potrebbero portare alla separazione sono state avviate nel consiglio di amministrazione che si è riunito mercoledì 7 maggio, una decina di giorni dopo l’annuncio a sorpresa dell’istituto milanese, pronto a barattare la sua partecipazione del 13 per cento nel gruppo assicurativo con la quota di controllo di Banca Generali, ceduta da Trieste.

Il board ha nominato i componenti dei vari comitati interni, compreso quello per le operazioni con parti correlate che sarà ovviamente chiamato a formulare il proprio parere sulla cessione della controllata Banca Generali a Mediobanca, che, come detto, è il principale azionista della compagnia.

L’operazione presentata al mercato lunedì 28 aprile prevede che l’intero capitale di Banca Generali venga scambiato con il pacchetto del 13 per cento dell’assicurazione triestina in portafoglio alla banca d’affari. A giochi fatti, quindi, Generali controllerebbe il 6,5 per cento circa del proprio capitale, una quota che, in base a quanto comunicato, sarebbe sottoposta a un vincolo di lock up per 12 mesi, cioè non potrebbe essere ceduta.

Chi decide che cosa

Il primo punto da valutare riguarda l’eventuale passaggio in assemblea per il via libera allo scambio. Tra i legali le opinioni non sono unanimi. Secondo alcuni l’operazione si configura in pratica come un buy back, cioè il riacquisto di azioni proprie, e quindi, come da codice civile, andrebbe autorizzata dai soci. Non basterebbe quindi l’ok del solo consiglio di amministrazione.

È chiaro che se alla fine fosse chiamata a esprimersi l’intera platea dei soci, in buona parte fondi internazionali, le incognite sulla strada verso l’approvazione non potrebbero che aumentare. Sul punto infatti dovrebbero esprimersi anche il costruttore-finanziere Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Del Vecchio che insieme controllano il 17 per cento circa di Generali.

D’altra parte, sono in molti a sollevare anche un potenziale conflitto d’interessi all’interno del cda, che conta su 10 amministratori, su 13 complessivi, eletti nella lista presentata da Mediobanca, ovvero il soggetto che ha presentato l’offerta su cui il board sarebbe chiamato a deliberare.

Un favore a Trieste?

C’è poi un altro aspetto che potrebbe entrare in gioco. L’operazione prevede che il restante 6,5 per cento del pacchetto Mediobanca venga offerto agli azionisti di Banca Generali diversi dalla compagnia, ovvero gli investitori, grandi e piccoli, che possiedono il 49,9 per cento della società destinata a passare di mano. In base alla legge che regola le offerte pubbliche in Borsa, tutti i soci devono godere del medesimo trattamento per quanto riguarda l’entità e i modi del pagamento.

Ebbene, secondo quanto reso noto nei giorni scorsi, l’offerta di Mediobanca è subordinata al fatto che la stessa Mediobanca, Assicurazioni Generali e Banca Generali «negozino e sottoscrivano, nel rispetto della disciplina in materia di operazioni con parti correlate, un accordo di partnership strategico-industriale di lungo periodo nei settori della bancassurance e dell’asset management».

Un accordo, fanno notare fonti legali, che è riservato alla compagnia di Trieste e ovviamente non può estendersi agli altri soci minori. Di conseguenza, fanno notare le stesse fonti, potrebbe essere necessario verificare che «l’accordo di partnership strategico-industriale di lungo periodo nei settori della bancassurance e dell’asset management» non contenga clausole che in qualche modo possono essere considerate un vantaggio per il socio Generali, in violazione, quindi, della parità di trattamento per tutti gli azionisti. A questo proposito non è da escludere che la Consob, esaminando l’operazione, chieda chiarimenti alle parti coinvolte.

Di certo nelle prossime settimane gli amministratori e i consulenti legali avranno molto da fare per dipanare la matassa di un affare che potrebbe cambiare l’assetto di potere della finanza italiana. Come noto, infatti, la stessa Mediobanca è oggetto di un’offerta pubblica di scambio da parte del Monte dei Paschi, un’operazione sponsorizzata dal governo, che è ancora azionista di Mps.

Governo silente

Un eventuale successo dell’operazione su Banca Generali priverebbe Mediobanca della sua partecipazione più pregiata, cioè il 13 per cento di Generali, una quota che da tempo è oggetto del desiderio della coppia Caltagirone-Del Vecchio, azionisti, oltre che di Generali, anche di Mediobanca e del Monte. Nei giorni scorsi Francesco Milleri, il manager a capo di Delfin, la holding dei del vecchio oltre che del colosso dell’occhialeria Essilor-Luxottica, ha rilasciato dichiarazioni che sono state lette come un’apertura all’operazione annunciata da Alberto Nagel, il numero uno di Mediobanca.

Silenzio invece, almeno per ora, dal fronte Caltagirone, come pure dal governo che dovrà esaminare l’offerta su Banca Generali alla luce delle norme sul golden power, le stesse che sono servite a complicare di molto le possibilità di successo dell’ops di Unicredit su BancoBpm, che mercoledì 7 maggio ha annunciato risultati record nel primo trimestre dell’anno. Numeri che, se possibile, rendono ancora più arduo il tentativo di scalata da parte dell’Unicredit guidato da Andrea Orcel.

© Riproduzione riservata