Banche online e moneta elettronica: ripulire i soldi sporchi non è mai stato così facile

Procedure di apertura del conto facili, forse fin troppo. Le banche online e gli istituti di moneta elettronica (Imel), sempre più diffusi, stanno diventando sempre più spesso il veicolo perfetto per riciclare denaro sporco. La ragione sta – per le banche online – proprio nelle procedure semplificate di apertura del conto, che permettono agli istituti (spesso basati all’estero e a volte proprio privi di filiali in Italia e dalla fondazione recente) di attrarre nuovi clienti in fretta. Bastano pochi clic su un cellulare, un documento e un video di riconoscimento, soprattutto senza nessun contatto vis-à-vis con un operatore allo sportello e il gioco è fatto. Poi, il tempo di far arrivare sui conti neonati versamenti per lo più dall’estero, a volte di dubbia provenienza, e si passa al prelievo. Una volta svuotato, basta chiuderlo, con la stessa facilità con cui il conto è stato aperto. Questo è il modus operandi che viene impiegato da chi ha bisogno di ripulire denaro sporco utilizzando uno strumento comodo come la finanza online. E così i conti virtuali proliferano, il fenomeno è in crescita: nonostante autorità di sorveglianza bancaria e magistrati siano ben consapevoli del fatto che spesso ci siano impieghi anomali, flussi sospetti e “ondate” di nuovi depositi aperti nello stesso periodo di tempo e nella stessa zona. Riciclaggio e clan: il calcio malato che l’Italia non vede Gli istituti online L’organismo di sorveglianza competente, la Banca d’Italia, ha spiccato multe contro gli istituti coinvolti e anche le procure sui territori sono lavorano a indagini attinenti, spesso per acquisire i dati dei nuovi clienti (ovviamente interesse prioritario per gli istituti) – il cosiddetto onboarding di chi vuole aprire un conto gli istituti – fanno uso di servizi esterni. In pratica: chi si occupa di cercare i fattori di rischio (le red flag) dei futuri utilizzatori è fuori dalla banca e non per forza dispone di protocolli che permettano di identificare e bloccare la creazione dei conti in situazioni sospette. In quel caso, tenere conto dei dettagli ambigui dei potenziali nuovi clienti si fa difficile, come rileva anche la Banca d’Italia nell’Indagine qualitativa sull’adozione di strumenti innovativi per l’adempimento degli obblighi Aml/Cft (Anti-money laundering/Countering the financing of terrorism): «Il maggior ricorso all’esternalizzazione per lo sviluppo degli strumenti innovativi può rendere difficoltosi i controlli su alcune fasi essenziali dei processi, come l’accettazione dei clienti e il monitoraggio dell’operatività». Tradotto: capire se si è di fronte a un potenziale prestanome che ospiterà sul suo conto un passaggio sospetto per chiuderlo subito dopo è molto difficile. Come è capitato in altri paesi europei, anche la Banca d’Italia è intervenuta a gamba tesa dove ha visto movimenti sospetti. La BaFin, l’autorità competente in Germania, nel 2024 ha spiccato multe nei confronti di N26 per 9,2 milioni di euro per opacità su questioni di antiriciclaggio e per 30mila euro nei confronti del servizio di pagamenti elettronici Nexi nel 2025. Ma anche la Banca di Lituania ha proceduto nei confronti di Revolut per 3,5 milioni di euro lo scorso aprile. Le ragioni girano tutte intorno alle carenze sulla sorveglianza delle operazioni: «Violazioni e carenze nel monitoraggio dei rapporti commerciali e delle transazioni». Palazzo Koch, dal canto suo, già nel 2020, aveva comminato una multa da 3,5 milioni di euro a Ing Bank per «carenze negli obblighi di adeguata verifica della clientela» e nel 2022 aveva temporaneamente bloccato la possibilità di acquisire nuovi clienti per N26, sempre per «significative carenze nel rispetto della normativa in materia di antiriciclaggio». E ancora, a marzo di quest’anno, per 2,5 milioni di euro nei confronti di Mooney per irregolarità nello stesso settore. Gli istituti toccati da questo genere di sanzioni sono intervenuti nel tempo con miglioramenti delle loro policy e collaborano attivamente con le autorità coinvolte, ma il tema rimane d’attualità. Revolut, per esempio, spiega di essere «soggetta agli stessi rigorosi obblighi legali e normativi di tutte le altre banche». Nessuno standard qualitativo, anzi, i termini «vietano l’uso dei conti per attività illegale» con «tolleranza zero». E la collaborazione con le autorità, con «sistemi solidi volti a individuare e prevenire i reati finanziari». Droga, contrabbando di sigarette, riciclaggio e token: la mafia turca nelle carte dei pm. Tutte le piste sul blitz di Santa Rosa Il gioco degli Imel Mentre i prestanome offrono la loro identità solo in maniera strumentale, la procura di Napoli l’anno scorso ha individuato una struttura – ora all’esame del tribunale ordinario del capoluogo – che avrebbe invece offerto servizi a clienti interessati a sfruttare di proposito le possibilità che offrono gli istituti di moneta elettronica per aggirare i controlli delle autorità. Il caso è quello che coinvolge la Trustcom Financial Uab, che dal 2018 opera in Italia in libera prestazione di servizi, senza cioè avere filiali fisiche in Italia. L’istituto, costituito ad hoc e controllato dagli indagati attraverso un sistema di scatole cinesi, fungeva da hub per accogliere il denaro dei clienti che usufruivano del «pacchetto di servizi idonei a trasferire/occultare/riciclare proventi illeciti» ostacolando «l’identificazione del beneficiario effettivo finale», come si legge nelle carte dell’inchiesta. Anche in questo caso il denaro rientrava poi in Italia attraverso bonifici su conti italiani o prepagate e usciva poi dal circuito per finire, ripulito, nelle tasche dei beneficiari grazie a un semplice prelievo. Oppure veniva investito in altri canali come nell’acquisto di ulteriore moneta elettronica. Il problema è che grazie alla quantità di Imel stranieri che si possono utilizzare per scopi illeciti, limitare questi circuiti è difficile quasi quanto fermare il mare con le mani. Anche perché, seppure l’attività si svolga in Italia, le società di questo tipo con riferimenti esteri «risultano completamente sconosciute per il fisco italiano, eludendo così anche i controlli delle autorità indipendenti com la Consob o la Banca d’Italia», si legge. A meno che non intervenga l’autorità nazionale: nella vicenda della Trustcom, per esempio, la licenza di operare è stata revocata già nel 2022 dalla Banca di Lituania, si legge nelle carte giudiziarie. Ma anche in quel caso, basta svuotare i conti e aspettare la fondazione del prossimo Imel dove parcheggiare i fondi.