«Questione di ore»: con queste testuali parole lo scorso 11 giugno il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti annunciava l’imminente soluzione del dossier banda ultralarga, quello sul Piano Italia a 1 Giga che marcia in forte ritardo sulla roadmap – dal sito Connetti Italia risulta che l’avanzamento delle opere è al 54,22% e manca solo un anno alla scadenza del Pnrr (30 giugno 2026). Ma sono passati 15 giorni e non solo tutto tace ma nessuna soluzione è stata trovata. Secondo quanto risulta a Domani le due società assegnatarie dei 14 lotti regionali – FiberCop (7 lotti) e Open Fiber (8 lotti) – non sono state nemmeno riconvocate dal Dipartimento di Butti per cercare di trovare una quadra.

Per ricapitolare: FiberCop si era offerta di rilevare parte dei lotti in capo a Open Fiber (quelli in cui i ritardi sono maggiori) promettendo di essere in grado di accelerare sulla realizzazione delle reti e chiudere tutti i cantieri nei tempi del Pnrr. Offerta respinta al mittente da Open Fiber e rilanciata con una controproposta: mettere in campo la tecnologia Fwa (misto fibra e wireless) per raggiugere la connettività a 1 Gigabit come stabilito dagli obiettivi di copertura nell’ambito del Pnrr in tutte le aree in questione (poi entro giugno 2027 si procederebbe con la migrazione da Fwa a Ftth, la fibra al 100%). Proposta su cui Open Fiber secondo quanto risulta a Domani non ha ricevuto alcun riscontro.

«Il governo ha le idee abbastanza chiare», aveva dichiarato Butti l’11 giugno. Ma persino le “minacce” di revoca della concessione a Open Fiber sui lotti a rischio – più volte fatte trapelare come la soluzione drastica a fronte di prese di posizione non in linea con quelle del Dipartimento – si sono trasformate in un boomerang: Infratel, la società del ministero delle Imprese e made in Italy, soggetto attuatore del piano banda ultralarga, avrebbe richiesto più di un parere legale sulla possibilità di procedere con la revoca. Pareri che avrebbero scartato l’ipotesi poiché passibile di contenziosi legali e dunque di ulteriori ostacoli sul cammino già stretto e tortuoso. Lo conferma il Dipartimento che a Domani scrive che «secondo le verifiche tecniche e giuridiche di Infratel Italia, non è possibile revocare i finanziamenti di uno o più lotti del Piano Italia a 1 Giga ai soggetti beneficiari».

«D'altro canto precisa il Dipartimento – Open Fiber ha comunicato al soggetto attuatore che raggiungerà il 70% del target di giugno 2025 su tutti i lotti, eccetto la Toscana. Per garantire il completamento degli obiettivi entro il 30 giugno 2026, Open Fiber ha inoltre proposto al Dipartimento e ad altre amministrazioni di rimodulare il piano valorizzando la componente Fwa. Il Dipartimento si è già attivato al fine di acquisire le valutazioni della Commissione europea sulla proposta presentata da Open Fiber».

Corsa contro il tempo

Cosa farà ora il Dipartimento? La probabilità che il Piano Italia a 1 Giga arrivi zoppo al 30 giugno 2026 è altissima e secondo quanto risulta a Domani ballerebbero fra 400mila e 500mila unità immobiliari non raggiunte dalla fibra, tutte sostanzialmente in capo a Open Fiber. FiberCop non dovrebbe avere problemi, ma il condizionale resta d’obbligo. La Commissione europea non ha previsto proroghe sul Pnrr né sugli altri piani nazionali anche se è presto per capire come andrà a finire, considerato che non sono pochi i progetti in Italia (e non solo) che scontano importanti ritardi.

Due i rischi all’orizzonte: il primo, più grave, è che l’Europa revochi l’intero finanziamento sul Piano Italia a 1 Giga – e parliamo di 3,4 miliardi di euro; nella migliore delle ipotesi, quella più auspicabile ma non meno rognosa, è che venga revocata la porzione dei fondi legata alle opere non realizzate (e poi chi paga?).

Rete unica fantasma

E c’è un altro dossier importante in tema di banda ultralarga che si sta impolverando sul tavolo del Governo: quello della rete unica nazionale, frutto dell’integrazione degli asset di FiberCop e Open Fiber, la cosiddetta società della rete. Nessun passo in avanti è stato fatto su questo fronte – la presidente del Consiglio Giorgia Meloni la annunciò come una delle priorità Paese a pochi giorni dal suo insediamento - e la litigiosità crescente fra i due attori certo non aiuta.

In casa Open Fiber, inoltre, l’azionista Macquarie (in quota con il 40% a fronte del 60% di Cassa depositi e prestiti) non vorrebbe saperne di conferire nella newco le cosiddette aree nere (ossia la porzione più pregiata e redditizia della rete, quella che riguarda le aree urbane e che nulla ha a che fare con i piani pubblici). E peraltro ci potrebbero essere anche dei profili antitrust. Stando a quanto si apprende il fondo australiano vorrebbe monetizzare l’investimento fatto a suo tempo – oltre 2 miliardi costò l’ingresso in Open Fiber – attraverso uno “scorporo” delle aree nere da far confluire in una società ad hoc anche con altri soggetti, ancora da identificare.

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