Il taglio dei tassi deciso dalla Bce arriva nel pieno di una tempesta dei mercati obbligazionari tra le più violente da molti anni a questa parte. Rispettando le previsioni della vigilia, il Consiglio direttivo di Francoforte ieri ha ridotto dello 0,25 per cento al costo del denaro, con il rendimento dei depositi presso la banca centrale che è sceso così dal 2,75 al 2,50 per cento. Nel frattempo, però, in queste prime settimane del 2025 lo scenario della finanza globale sta rapidamente cambiando.

La rotta seguita dall’istituto presieduto da Christine Lagarde si spiega con la netta discesa dell’inflazione che nella zona euro a fine 2022 viaggiava intorno al 10 per cento mentre nel febbraio scorso non ha superato il 2,4 per cento (l’1,7 per cento in Italia). Dal giugno del 2024, quando il tasso di riferimento era al 4 per cento, è quindi partita una serie di correzioni al ribasso. Con quella di ieri siamo arrivati siamo alla sesta.

Nuovi equilibri

La Bce deve però confrontarsi con mercati alla ricerca di nuovi equilibri, perché dagli Stati Uniti soffia forte il vento della politica protezionistica decisa da Donald Trump, che mette a rischio la crescita economica globale. In Europa, invece, Berlino è pronta ad abolire il cosiddetto freno al debito pubblico programmando investimenti per centinaia di miliardi in difesa e infrastrutture. Il nuovo cancelliere Friedrich Merz è quindi pronto a quello che è stato definito un cambio di paradigma, una svolta davvero epocale per un paese come la Germania che ha sempre tenuto sotto stretto controllo la spesa.

Il cambio di rotta ha innescato un rialzo senza precedenti dei rendimenti dei titoli di stato tedeschi, che in giornata sono arrivati al 2,9 per cento, il massimo degli ultimi 12 anni, provocando un effetto domino sulle obbligazioni pubbliche degli altri Stati europei. Queste ultime, infatti, si muovono tenendo il Bund come parametro di riferimento.

Che cosa succede ai Btp

Ecco perché i Btp con scadenza a 10 anni sono tornati a superare quota 4 per cento per la prima volta da luglio dell’anno scorso. Per il governo di Roma questa non è una buona notizia. Con un debito pubblico che vale il 135,3 per cento del Pil, il conto da pagare per il Tesoro aumenta se crescono gli interessi da pagare sui titoli di stato. Ben più ampi sono i margini di manovra per Berlino, che vanta un rapporto debito/Pil intorno al 63 per cento e quindi può permettersi di finanziare senza grandi problemi un colossale piano di investimenti come quello appena annunciato, che dovrà comunque essere approvato dal nuovo Parlamento uscito dal voto del 23 febbraio scorso.

Va detto, comunque, che tutta l’Europa, compresa la Germania, è costretta a navigare a vista. Le tensioni commerciali, con il ritorno in grande stile dei dazi, «restano una grande fonte di incertezza», ha detto Lagarde a commento delle previsioni macroeconomiche della Bce. E anche il quadro geopolitico, segnato dal riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia, certo non contribuisce certo a rischiarare l’orizzonte.

Per questi motivi la banca centrale ha parzialmente rivisto al ribasso le stime di crescita dell’Eurozona per i prossimi anni. Il Pil dovrebbe quindi aumentare dello 0,9 per cento nel 2025, contro l’1,1 per cento previsto inizialmente, dell’1,2 nel 2026 (dall’1,4 per cento), mentre per il 2027 è stata confermato un incremento del 1,3 per cento. In risposta a questo scenario, Francoforte si tiene le mani libere per le prossime decisioni in tema di tassi.

Incertezza globale

D’altra parte, queste previsioni non tengono ancora conto dell’aumento degli investimenti annunciato da Berlino, che potrebbe trainare l’intero continente. In prospettiva, quindi, non è detto che la crescita non prenda velocità. Quanto all’inflazione la Bce la vede in calo, ma meno di quanto previsto, dato che la stima per il 2025 è passata dal 2,3 al 2,1 per cento. Tenendo conto di tutti questi elementi, la banca centrale prenderà le sue decisioni «riunione dopo riunione», ha precisato Lagarde. In altre parole, non è affatto da escludere che il processo di riduzione del costo del denaro subisca una pausa già in aprile.

Tutto il contrario, insomma, di quanto era dato per scontato ancora fino a poche settimane fa. In Italia, le attese di nuovi tagli dei tassi sono diffuse soprattutto tra gli imprenditori, costretti a confrontarsi, ormai da molti mesi, con il rallentamento della domanda. La situazione potrebbe peggiorare, se davvero ad aprile venissero introdotti i dazi annunciati da Trump sulle merci europee.

Insomma, l’orizzonte appare quanto mai incerto e un altro elemento di cui tenere conto sarà quella del cambio tra euro e dollaro.

Secondo molti analisti la politica protezionistica di Washington dovrebbe portare a un apprezzamento della valuta Usa su quella europea. Se questo accadesse, la diminuzione delle esportazioni dei paesi Ue causata dai dazi sarebbe parzialmente neutralizzata. Anche in questo caso, però, fare previsioni attendibili è ancora più complicato del solito.

Effetto Trump

Troppe le variabili in gioco, non ultima l’estrema imprevedibilità delle mosse di Trump, capace di correggere decisioni prese poche ore prima. Proprio questo è successo due giorni fa, per esempio, con i dazi per le auto prodotte in Messico e Canada, colpite, al pari delle altre merci, da un prelievo del 25 per cento, che è stato subito sospeso fino al 2 aprile. E ieri il presidente americano è tornato ancora una volta sui suoi passi escludendo temporaneamente dai nuovi dazi una serie di prodotti messicani.

Questi continui cambi di rotta, uniti ai timori di un impatto negativo sulla crescita della politica economica di Washington, hanno provocato ieri un nuovo ribasso della Borsa di Wall Street, mentre il dollaro continua a perdere terreno.

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