Non sono solo i grandi fondi d’investimento e i piccoli investitori a temere per la frenata delle vendite del colosso controllato dal Doge: anche Kimbal Musk tra i “fuggitivi”. Il blitz dei figli di Trump su Dominari, azienda in perdita. Il titolo vola in Borsa: gli effetti dell’investimento nella Dominari e il rischio di conflitti d’interessi
Negli affari essere parente di un potente ha i suoi bei vantaggi. Ne sanno qualcosa il fratello di Elon Musk e i figli di Donald Trump. Partiamo da questi ultimi. Eric Trump e Donald junior si sono buttati nel business di gran moda dei data center, subito dopo l’ascesa del padre a nuovo presidente americano.
Nei primi giorni di febbraio di quest’anno sono entrati come soci in una sconosciuta, ai più, piccola azienda, la Dominari holdings che si è messa a operare nel settore dell’intelligenza artificiale dopo aver tentato la strada del business biotech.
Investimento nei data center
I due figli hanno comprato azioni entrambi per il 9,46 per cento del capitale sborsando 4,3 milioni di dollari a testa. L’obiettivo è creare una nuova società che opererà nell’intelligenza artificiale con Eric e Donald Jr. con il 32 per cento delle quote.
Appena si è diffusa la notizia, il 3 febbraio scorso, i titoli di Dominari hanno avuto un exploit formidabile con il prezzo dell’azione salito da 3 a ben 11,4 dollari in una sola settimana con scambi furiosi sul listino. Sono passate di mano 73 milioni di azioni in pochi giorni, quando normalmente i flussi di scambio si fermano a solo un milione di titoli.
Una ricca messe di guadagni per chi è stato svelto ad approfittarne, dato che dal 10 febbraio il titolo è sceso a razzo a quota 4,6 dollari di questi giorni. Del resto quella fiammata era solo legata al blasone dei due, dato che Dominari non eccelle per prestazioni.
Non ha mai prodotto un dollaro di utile negli ultimi anni e anzi ha chiuso l’ultimo bilancio con 22 milioni di perdite su 12 milioni di ricavi. A volte basta davvero solo il nome per muovere all’impazzata gli animal spirit del mercato.
Gli affari del presidente
Quanto invece a Donald, il neo presidente, non si può dire che la sua nomina abbia per ora portato fortuna ai suoi affari. Sulla Trump Organization la sua compagnia privata di investimenti immobiliari e campi da golf, poco si sa. Se non le valutazioni che vengono fatte filtrare. Per Forbes la ricchezza patrimoniale di Trump si aggirerebbe sui 4,6 miliardi di dollari, in calo dovuto anche allo sboom del titolo della quotata del presidente, la Trump media & Technology group di cui sono pubblici i bilanci. Il business della società, famosa solo per il social media Truth, non ingrana.
Anzi i conti vanno a picco con 400 milioni di perdite a fine 2024, a fronte di ricavi inesistenti (soli 3 milioni). La società quotata al Nasdaq è una micro-impresa. Capitalizza solo 4,5 milioni di dollari. E del resto il prezzo delle azioni risulta stratosferico tuttora, dato che fronteggia perdite per 400 milioni. Una bolla grande come una casa che trova giustificazioni solo con il fatto di essere l’azienda del presidente.
Il baratro nei conti non poteva che riflettersi sulla caduta del titolo in Borsa che ha perso nell’ultimo anno metà del suo scarno valore di Borsa. Donald governa con il 52 per cento del capitale e ha in tasca 114 milioni di titoli del gruppo. Il resto è in mano ai fondi d’investimento più noti: da Vanguard all’onnipresente BlackRock. Che ci fanno in una società con quei conti malandati? Una fiche sul business del presidente può essere sempre utile.
Anche Kimbal molla Tesla
Veniamo ora agli affari (famigliari) di Elon Musk. Non ci sono solo i grandi fondi d’investimento e i piccoli investitori a vendere a piene mani le azioni di Tesla, preoccupati dalla frenata nelle vendite del colosso texano controllato dal Doge. Dall’elenco dei fuggitivi spunta anche il fratello minore di Elon, Kimbal Musk, assurto alle cronache per le sue visite romane ai palazzi del potere: dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli, alla stretta di mano con la premier Giorgia Meloni.
Kimbal, che figura tra i direttori della casa automobilistica, ha venduto secondo i dati della Sec americana un pacchetto di 75mila azioni Tesla lo scorso 6 febbraio a un prezzo di 367 dollari per azione. L’incasso è stato di 27,5 milioni di dollari. Non male per un clic sul computer in una sola giornata.
Tra l’altro Kimbal, il meno noto della stirpe, che figura come manager sia in Tesla che in SpaceX, e che in proprio si diletta come chef con una piccola catena di ristoranti, e s’aggira sempre con un cappello da cowboy, ha venduto con sagacia poco prima del grande crollo occorso al titolo, che è piombato a picco da quando è passato all’incasso e oggi quota vicino alla soglia dei 200 dollari. Qualcosa diceva che la festa stava finendo e chi meglio del fratellino del boss poteva saperlo?
Ma Kimbal non è uomo di numeri e qualche volta non ci azzecca o meglio sbaglia i tempi: come quando il 1° novembre scorso, quattro giorni prima del successo di Trump e del fratello alle elezioni presidenziali, si mise a vendere un altro pacchetto di titoli. Sessantamila azioni a un prezzo di soli 250 dollari per azione con un incasso di 15 milioni.
Avesse aspettato la consacrazione del nuovo presidente avrebbe portato a casa molto di più. Il titolo Tesla, infatti, subito dopo la presa di potere di Trump salì a razzo fino a 420 dollari per azione toccati a metà dicembre, prima della caduta vertiginosa che da allora non si è fermata.
In ogni caso le sue mosse e quelle dei manager di Tesla diranno molto della bolla scoppiata della casa automobilistica. Negli ultimi mesi i file depositati alla Sec americana sulle compravendite dei cosiddetti internal alla società, raccontano solo di vendite di azioni da parte dei manager del gruppo, da Robyn Denholm che ha piazzato sul mercato il 3 marzo scorso 90mila azioni al prezzo di 300 dollari per azione, a Kathleen Wison Thomson che ha venduto con il titolo a 400 dollari ben 100mila titoli. Chi è dentro all’azienda vende e questo è un indicatore che il mercato guarda per capire lo stato di salute di Tesla.
Venderà ancora?
Lo stesso Kimbal, che accompagnato dal fidato Andrea Stroppa, il referente degli affari di Elon in Italia, entra con una certa facilità nei palazzi romani del potere, può vantare un pacchetto di titoli Tesla in suo possesso di 1,4 milioni di azioni. Ai prezzi di questi giorni siede su un patrimonio personale di 292 milioni di dollari.
Venderà ancora? Difficile dirlo. Così come è difficile prevedere la traiettoria futura del titolo. In fondo Tesla viene identificata tra i magnifici 7, le grandi big tech Usa che da sole rappresentano il 70 per cento della borsa Usa e che hanno corso a perdifiato fino a due mesi fa.
Sarà una correzione salutare o l’inizio di un tracollo? Per la prima volta le vendite delle auto full electric si sono arrestate, superate dal rivale cinese Byd. Quello che era un monopolio comincia a subire gli effetti della concorrenza.
Se Tesla rallenterà quest’anno ulteriormente la sua marcia, allora quel valore di 700 miliardi di capitalizzazione di Borsa rischia di scoppiare: in fondo chi compra Tesla che produce utili netti per 7 miliardi compra un centinaio di anni di profitti futuri. Difficile pensare che ne valga così tanti. Si vedrà.
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