Chi non muore si rivede. E i bitcoin, il cui valore ha appena fatto segnare il nuovo massimo storico, sembrano in effetti godere di ottima salute. Era da esattamente tre anni che la moneta digitale creata nel 2008 da Satoshi Nakamoto (chiunque si celi dietro questo pseudonimo) era scomparsa dai radar: da quel dicembre 2017 in cui aveva sfiorato quota 20mila dollari per poi improvvisamente crollare, lasciando per strada circa il 70 per cento del valore in poco meno di due mesi. Una vera e propria bolla, che scoppiando aveva trascinato con sé innumerevoli altre criptovalute – molte delle quali erano semplici catene di Sant’Antonio digitali – e lasciato con il cerino in mano chi era salito troppo tardi sul carro.

Un’ascesa e declino tanto rapidi ed estremi da rievocare la celebre bolla dei tulipani del Diciasettesimo secolo e far pensare che di queste misteriose criptovalute non avremmo più sentito parlare. Ancora nel gennaio 2019, i bitcoin erano infatti agonizzanti, con un prezzo che veleggiava attorno ai 3.500 dollari. È proprio in quel momento che qualcuno dev’essersi ricordato del detto attribuito a Sir Nathan Rothschild: «Quando c’è il sangue per strada, è il momento di comprare». E così, gradualmente, i bitcoin hanno ripreso a salire: raggiungendo quota 10mila dollari nel giugno 2019 e poi, dopo vari altri scossoni, iniziando la forsennata cavalcata a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, che li ha portati prima a sfiorare nuovamente 20mila dollari nei primissimi giorni di dicembre e poi a superare abbondantemente questa cifra simbolica (nel momento in cui scrivo, il nuovo massimo storico è di 23.500 dollari).

È ufficiale: i bitcoin sono tornati. I siti specializzati che tengono traccia di tutte le volte che sono stati dati per morti (secondo 99bitcoins.com siamo giunti a quota 389) possono così aggiungere una nuova voce all’elenco. Ma cos’ha dato nuova linfa alla più nota tra le criptovalute? Di sicuro non il loro utilizzo come moneta nel mondo reale: al di là della compravendita di merce (spesso illegale) sul dark web e dei riscatti pagati da di chi cade vittima di un ransomware (un attacco hacker che rende inaccessibili i documenti conservati sul vostro computer), praticamente nessuno utilizza i bitcoin come moneta.

Un bene rifugio alternativo

Negli ultimi tre anni è stata però proprio la concezione dei bitcoin a cambiare radicalmente: non più una moneta elettronica e nemmeno un asset da scambiare il più velocemente possibile, ma un bene rifugio alternativo. In poche parole, il bitcoin sta diventando sempre più simile a una specie di oro digitale. Il parallelismo tra oro e bitcoin non è una novità: entrambi devono infatti essere estratti (nel primo caso dalle miniere, nel secondo con il processo informatico noto non a caso come mining); il loro valore è slegato dall’andamento delle borse come delle politiche monetarie e non sono influenzati dai tassi d’interesse. Se non bastasse, i bitcoin non potranno mai andare oltre i 21 milioni di unità (a oggi, ne sono già stati prodotti 18,5 milioni): una proprietà iscritta nel loro codice che li rende più simili a un materiale prezioso scarsamente presente in natura che a una moneta.

La retromarcia di JPMorgan

Caratteristiche che, in tempi di pandemia e di stimoli economici, iniziano a essere guardate con attenzione. Come si legge in un recente report di Bloomberg, «mano a mano che il coronavirus continua a rimodellare l’economia e le banche centrali abbassano i tassi d’interesse per stimolare la spesa, gli investitori iniziano a vedere i bitcoin come un bene rifugio analogo al più classico dei metalli preziosi». Non solo: in un altro report, pubblicato a ottobre da JPMorgan Chase, è stato evidenziato come i bitcoin stessero diventando una valida alternativa all’oro e come l’attenzione da parte dei millennial li rendessero un mercato dalle grandi potenzialità.

Si tratta della stessa JPMorgan Chase il cui amministratore Jamie Dimon, nel settembre 2017, aveva definito le criptovalute «una truffa» avvisando che avrebbe licenziato «per stupidità» qualunque dipendente si fosse messo a scambiarle. Nel frattempo, qualcosa deve essere cambiato. Lo dimostrano anche le scelte compiute da Paul Tudor Jones (uno dei principali manager di hedge fund di Wall Street), che ha fatto sapere di aver investito circa il 2 per cento del suo portafoglio in bitcoin già nel maggio di quest’anno, o l’interesse mostrato da Rick Rieder, a capo degli investimenti a reddito fisso di BlackRock (il fondo più grande al mondo), che ha dichiarato che le criptovalute «sono qui per restare». Una situazione completamente diversa da quella del 2017, quando la crescita del valore dei bitcoin fu alimentata da innumerevoli improvvisati piccoli investitori.

Ma a essere cambiati sono anche i progetti di monete digitali nazionali – basate su una forma “controllata” di blockchain, il registro digitale e condiviso alla base dei bitcoin – che hanno preso vita negli ultimi tempi. Se il petro venezuelano, lanciato nel febbraio 2018 da Nicolas Maduro per contrastare l’iperinflazione, e il rublo digitale di Vladimir Putin potevano essere considerati dei bizzarri progetti mossi un po’ da avventurismo tecnologico, un po’ da disperazione, è difficile archiviare tanto rapidamente la criptovaluta di stato cinese (che nel mese di ottobre è entrata ufficialmente in sperimentazione a Shenzhen) e i progetti analoghi in fase di studio negli Stati Uniti e anche nell’Unione europea. Con tutte le differenze del caso, i bitcoin non possono che conquistare credibilità nel momento in cui la loro struttura tecnologica ispira direttamente le valute digitali emesse dalle superpotenze economiche.

E poi, ci sono le recenti mosse dei colossi privati attivi nel settore dei pagamenti digitali: una realtà come PayPal (350 milioni di utenti) ha annunciato sul finire di ottobre che avrebbe consentito di acquistare e conservare bitcoin (e non solo) sulla sua piattaforma e, a partire dal 2021, anche di usarli per effettuare acquisti negli Stati Uniti. Una decisione quasi inevitabile, considerando gli enormi guadagni che uno dei principali competitor di PayPal, Square, ha messo a segno grazie alla decisione di puntare sulle criptovalute già nel 2018.

Dove sono destinati ad arrivare i bitcoin? Impossibile saperlo. Nelle ultime settimane, si sono lette previsioni di ogni tipo: investitori ed esperti (più o meno affidabili) hanno scommesso che il valore raggiungerà nel giro di un anno 30mila, 100mila o anche 320mila dollari; mentre altri hanno avvisato che a breve si assisterà a un tonfo del 50 per cento. L’unica certezza, quando si parla di bitcoin, è che questa è una moneta tanto volatile quanto imprevedibile, il cui valore può subire in 24 ore fluttuazioni tali da far venire il mal di testa anche agli investitori più scafati.

Allo stesso tempo, i bitcoin sembrano sempre essere il cavallo migliore su cui puntare, visto che i suoi più importanti rivali sono ancora molto lontani dai massimi storici. Ethereum, una delle piattaforme più promettenti e dai molteplici usi, segna ancora – 50 per cento rispetto al picco di 1.300 dollari toccato nel gennaio 2018. Ripple, nato per consentire di inviare denaro ovunque nel mondo a grandissima velocità e quasi senza costi, vale oggi circa 60 centesimi rispetto agli oltre 3 dollari di valore massimo e anche litecoin (la più simile a vitcoin) vale meno di un terzo rispetto al suo prezzo massimo.

Il rinnovato interesse ha quindi premiato, almeno finora, soprattutto la più antica tra le criptovalute. Ci troviamo all’inizio di un’altra cavalcata sulle cripto-montagne russe oppure stiamo assistendo ai primi passi dell’istituzionalizzazione dell’oro digitale? I bitcoin continueranno a salire o crolleranno nuovamente da un giorno all’altro? Nessuno può dirlo, ma a dodici anni dalla nascita e dopo essere stati dati per morti centinaia di volte, sono ancora solidamente tra noi.

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