Come in ogni sfida, c’è chi vince e chi perde. E quando si tratta delle nomine delle partecipate statali più importanti, l’attesa è da big match per usare una metafora sportiva. Ecco il bilancio dei big del governo e di alcuni dei prescelti.

Giorgia Meloni, voto 6: indietro tutta

La presidente del Consiglio era annunciata come l’asso pigliatutto degli incarichi, decisa a forzare la mano, lasciando a bocca asciutta gli alleati. Tanto che nei giorni scorsi non sono mancate le reazioni stizzite.Meloni, dietro pressioni a mezzo stampa e confronti accesi, ha fatto un passo indietro su Enel, rinunciando a Stefano Donnarumma, che pure era stato il primo manager a “sdoganare” Fratelli d’Italia, mettendoci la faccia agli eventi di partito, quando era solo una piccola forza di opposizione. Un voltafaccia che lascia il segno. La premier ha portato così a casa il minimo sindacale, resistendo sul nome di Roberto Cingolani, e lasciando al proprio posto Claudio Descalzi all’Eni e Matteo Del Fante a Poste italiane, che non sono proprio di estrazione meloniana., Una campagna deludente. La sufficienza è stata conquistata, grazie all’indicazione della prima donna, Giuseppina Di Foggia, proveniente da Nokia, al comando di un’azienda pubblica, nel caso specifico Terna. Almeno su questo punto non ha fatto retromarcia.

Matteo Salvini, voto 7: stoccatore a sorpresa

Il vicepremier leghista sembrava la vittima sacrificale, in una dinamica inversamente proporzionale a quella di Meloni. Invece ha piazzato una serie di stoccate vincenti, aggiudicandosi prima di tutto la guida di Enel, con l’indicazione di Flavio Cattaneo nel ruolo di amministratore delegato. Non dispiace affatto nemmeno l’incarico di presidente di Eni dato al generale della Guardia di finanza, Giuseppe Zafarana:il tris è stato completato con la poltrona di presidente di Terna, assegnata a Igor Di Blasio, già consigliere di amministrazione, in quota Lega, della Rai. Date le premesse un quadro oltre le aspettative per Salvini. «Alla fine bisognava giusto fare dei ritocchi, niente di che» si schermiscono nell’inner circle del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti. Lasciando intendere che la poltrona di Enel fosse già conquistata, nonostante le voci di direzione opposta che faceva circolare l'area di Meloni.

Giancarlo Giorgetti, voto 6,5: arbitro in campo

Il ministro dell’Economia vince, come spesso gli capita, senza aver mai davvero scoperto le carte. La cifra enigmatica ha giocato a proprio favore perché non ha reso chiare le proprie posizioni. Giorgetti ha giocato a metà tra il leader del suo partito, Salvini, che chiedeva maggiore spazio per la Lega, e la presidente del Consiglio, cercando di non scontentarla del tutto. Quasi un arbitro della partita. E, nella sua presenza-assenza (nella fase cruciale della trattativa non era al tavolo), non è dato sapere quanto abbia coperto volontariamente il ruolo di supervisore con doppio ruolo in commedia.

Giovambattista Fazzolari, voto 6,5: futuro Mantovano

Il sottosegretario a Palazzo Chigi può ritenersi soddisfatto già per un aspetto: è stato scelto da Meloni come uomo di fiducia per condurre le trattative, diventando il Mantovano (nel senso di Alfredo) del futuro per la capacità di mediare. A quanto pare, Fazzolari avrebbe preferito tenere il punto con gli alleati senza alcun cedimento sulle nomine. Ma al tavolo, in Fratelli d’Italia, l’ultima parola spetta sempre a lei, a “Giorgia”. Dal punto di vista personale ha battuto un colpo con la presidenza di Poste italiane, finita a Silva Rovere, presidente di Assoimmobiliare, da lui sponsorizzata, nonostante da Palazzo Chigi si affannino a ripetere che non avesse alcuno sponsor. La pregressa stima del sottosegretario sicuramente non ha fatto male.

Guido Crosetto, voto 5,5: in fase calante

Sulle nomine delle partecipate c’è stata l’ennesima conferma: il ministro della Difesa non è più nella “fiamma magica” del suo partito. Un tempo sarebbe stato il grande cerimoniere dell’assegnazione delle poltrone. In questo giro ha ricevuto giusto il contentino della presidenza di Leonardo: Stefano Pontecorvo è ambasciatore dell’Italia in Pakistan e consigliere diplomatico del ministro della Difesa. L’unica soddisfazione per Crosetto.

Gianni Letta, voto 7,5: mediano infallibile

È arrivato al momento opportuno, con il solito modus operandi lontano dai riflettori, ma capace di farsi concavo e convesso per arrivare all’obiettivo. Un mediano instancabile, nonostante la veneranda età, che sa infilarsi tra le pieghe degli errori altrui. In dote a Forza Italia - partito più debole elettoralmente e con il leader Silvio Berlusconi al momento fuori dai giochi per problemi di salute, la nomina di Paolo Scaroni - al vertice dell’Enel. Un passaggio che sembrava impossibile per un motivo principale: l’attuale presidente del Milan è il manager che ha voluto legare a doppio filo la strategia energetica italiana all’importazione di gas dalla Russia. La vicinanza a Vladimir Putin e a Gazprom, seppure riferita al passato, non ha rappresentato un problema. Anzi. E non è stato un ostacolo il fatto che Scaroni, che ha legato il suo nome all’Eni, sia finito nell’altro colosso energetico pubblico, l’Enel. Dalla sua prospettiva, Letta ha compiuto un capolavoro.

Antonio Tajani, voto 6,5: luce riflessa

Il vicepremier di Forza Italia ha avuto vita facile: con Letta al suo fianco è riuscito a portare a casa il massimo risultato senza doversi affannare in prima persona. Tajani si è limitato a supportare l’operato dello storico consigliere del Cavaliere. Ha brillato di luce riflessa.

Claudio Descalzi, voto 8: marmoreo

Non è un politico, ma più di tutti rappresenta il potere politico. Passano gli anni, cambiano governi di ogni colore, supera con l’assoluzione le intemperie giudiziarie, conservando il ruolo più importante: amministratore delegato dell’Eni. Impossibile da scalfire come una statua di marmo. Sulla conferma di Descalzi nessuno ha osato sollevare i dubbi. Era dato come possibile ministro del governo Meloni: la premier stravede per il manager del “cane a sei zampe”, che però si è ben guardato dalla tentazione di cedere alle lusinghe meloniane per un incarico governativo. 

Roberto Cingolani, voto 7: Grillo meloniano

È passato dal ruolo di ministro della Transizione ecologica, in quota Beppe Grillo (contestato a destra e a sinistra) nel governo Draghi all’incarico di amministratore delegato di Leonardo, in quota Meloni. Cingolani è riuscito a cambiare pelle nel giro di pochi mesi. O semplicemente la pelle era sempre quella, ma il fondatore del Movimento 5 stelle ha preso un abbaglio.

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