Il presidente dell’Unione energie per la mobilità, storicamente chiamata Unione petrolifera, Claudio Spinaci, assicura che l’embargo ai prodotti russi non causerà un aumento dei prezzi dei carburanti. Almeno non subito, perché in Italia ci sono undici raffinerie: «L’Italia da questo punto di vista è il paese meno esposto, e già da luglio 2022 ha praticamente ridotto a zero gli arrivi dalla Russia. Questo perché abbiamo un’industria dalla raffinazione in grado di soddisfare ampiamente la domanda interna e minimizzare gli impatti sui prezzi».

Non è un caso, specifica, se abbiamo i prezzi industriali (al netto delle tasse) tra i più bassi d’Europa (sulla benzina siamo al 19° posto, sul gasolio al 23°). Questo non significa che nelle prossime settimane non ci saranno tensioni, ma intanto il settore ha dimostrato dati alla mano nei giorni scorsi che il balzo dei prezzi che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha attribuito alla «speculazione», in realtà è dovuto in primo luogo all’abolizione dello sconto sulle accise, e adesso il paese si prepara ad affrontare con relativa tranquillità l’embargo.

Una posizione avvantaggiata rispetto al resto dell’Europa, per cui le compagnie petrolifere tornano a ragionare sul «lungo termine», immaginando una lunga vita per il petrolio proprio nel momento in cui l’invasione dell’Ucraina sembra avere messo in crisi tutto.

L’embargo

Per andare a colpire le casse di Vladimir Putin, a dicembre è partito a livello europeo l’embargo che vieta l'acquisto, l'importazione o il trasferimento di petrolio greggio e di alcuni prodotti petroliferi trasportati per via marittima dalla Russia all'Ue. Dal 5 febbraio 2023 sarà la volta degli altri prodotti petroliferi raffinati.

Attualmente è prevista un’eccezione temporanea per le importazioni di petrolio fornito mediante oleodotto negli Stati membri dell'Ue che, data la loro situazione geografica, soffrono di una dipendenza specifica dagli approvvigionamenti russi e non dispongono di opzioni alternative praticabili. Inoltre, la Bulgaria e la Croazia nello specifico beneficeranno di deroghe temporanee riguardanti, rispettivamente, l'importazione di greggio russo trasportato via mare e di gasolio.

Di pari passo, partiranno i tetti ai prezzi diversificati per prodotto che riguardano il trasporto verso i paesi terzi. L’elaborazione di queste politiche, insieme alla ripresa post pandemica, ha fatto sì che nell’anno passato i prezzi salissero, mentre adesso sembra stranamente tutto fermo: «L’avvio dell’embargo – dice Spinaci, è stato già scontato. Non mi aspetto a breve grosse fiammate».

O almeno non per tutti. Come ha ricordato l’Ispi in un recente approfondimento, fino a dicembre scorso, la Russia era ancora il primo esportatore di diesel verso l’Ue, con 0,8 milioni di barili al giorno su 1,8: l’Ue dovrà sostituire il 45 per cento circa del proprio diesel importato con altre fonti. Questo a fronte del fatto che il diesel in Europa è molto più utilizzato che negli Stati Uniti (45 per cento delle autovetture non commerciali in Europa, contro il 3 per cento negli Usa).

Senza contare che l’embargo europeo, continua l’istituto, arriva con il mercato del diesel in Europa già in affanno. Nel 2022 ha fatto molto discutere il fatto che per la prima volta in Europa il gasolio sia diventato più caro della benzina. Le prossime settimane, concludono, ci diranno se la transizione sarà indolore, o se i consumatori europei vedranno altre impennate di prezzo.

«Chi non riesce a prodursi in casa il gasolio di cui ha bisogno, come possiamo fare noi – commenta Spinaci -, è evidente che dovrà rivolgersi al mercato spot pagando sicuramente premi più alti dovendo contendere prodotti di alta qualità ad aree in forte sviluppo».

Nello specifico, secondo i dati Unem, ci sono paesi più esposti di altri come, ad esempio, i paesi baltici che dipendono dal gasolio russo per oltre il 50 per cento, ma anche la Germania (30 per cento), il Regno Unito (29 per cento) o la Francia (27 per cento).

La rivincita dei fossili

Mentre l’incertezza legata all’Ucraina continua, da un punto di vista reputazionale, le raffinerie riguadagnano il terreno perduto. Gli asset, che sembravano ormai avviati alla chiusura o alla conversione in tutta Europa, hanno ricominciato a essere attraenti per il mercato, e non solo in un’ottica geopolitica, visto che sono piccoli presidi internazionali nei paesi in cui operano. La raffineria siciliana Isab Lukoil, di proprietà della compagnia russa tramite la società svizzera Litasco, è stata per mesi al centro delle attenzioni dei fondi americani.

Adesso è in corso l’accordo con la compagnia cipriota Goi Energy, la chiusura è prevista per il 30 marzo. A quanto risulta a Domani sarebbe pronta a pagare l’impianto circa un miliardo e mezzo, a cui si aggiungeranno gli investimenti con la garanzia di una futura riconversione. 

Come il mercato, anche il governo ha ricominciato a vedere come strategici questi impianti, tanto da varare un decreto per salvaguardarne la cessione. Una situazione che Spinaci testimonia in prima persona per la categoria, che ha già avuto degli scambi con il governo Meloni: «Abbiamo già avuto modo di confrontarci e devo dire che ho trovato interlocutori attenti e interessati». Anche nella distribuzione dei carburanti c’è movimento. Ip ha di recente acquistato gli asset Esso, una mossa che ha trovato il plauso del ministro Giancarlo Giorgetti: «Da un lato è sicuramente una buona notizia – dice Spinaci – perché subentra un operatore industriale italiano che ha contribuito a fare la storia di questo settore; dall’altro, è invece una notizia meno buona perché si riduce la presenza di un operatore globale che è attivo sul nostro mercato ininterrottamente da oltre 130 anni». Quello che conta, conclude, «è salvaguardare l’integrità industriale di un settore strategico per il futuro del paese».

E tornano le parole che non si sentivano più: «Come obiettivo primario la sicurezza e la sostenibilità di lungo termine», dice Spinaci. Mentre di recente un paper Proxigas, l’associazione del settore del metano di cui fa parte Eni, ha criticato l’Europa perché ha deciso di vietare la vendita dei motori a combustione interna dal 2035.

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