Nel suo primo discorso al senato, il premier, Mario Draghi, ha denunciato la crescita delle disuguaglianze in Italia citando la crescita del coefficiente Gini.  

Che cos’è il coefficiente Gini?

Formulato dall’economista italiano Corrado Gini, l’indicatore di disuguaglianza misura la concentrazione nei redditi delle famiglie ed è compreso tra zero e uno (anche se in alcuni casi può essere espresso anche tra zero e cento). Lo schema per capire l’evoluzione delle disuguaglianze è il seguente: più è basso il valore, minori sono le disuguaglianze nei redditi mentre più il valore è alto, maggiore sarà il divario nella distribuzione. 

L’Europa e il coefficiente Gini

L’ultimo dato reso disponibile dall’Eurostat sul coefficiente Gini a livello europeo risale al 2019 e si attesta sul 30,7. In leggera flessione rispetto al 30,8 del 2018. Le disuguaglianze in Italia sono maggiori di quelle della media europea visto che il nostro coefficiente è del 32,8. In totale il nostro paese è il settimo in Europa per il livello di Gini e terzo in quella occidentale. Il paese con il più alto tasso di disuguaglianze è la Bulgaria con il suo 40,8, ovvero dieci punti in più rispetto alla media Ue. Seguono altri stati dell’area baltica e orientale come la Lituania con il suo 35,4, la Lettonia (35,2) e la Romania, (34,8). I primi paesi dell’Europa occidentale sono, nell’ordine, Regno Unito (33,5 nel 2018, dato 2019 non disponibile), Spagna (33) e Italia (32,8).

Diversi sistemi a confronto

La storia economica recente ha visto una correlazione tra il modello di capitalismo liberale come quello del Regno Unito e l’altezza del coefficiente Gini. Le ragioni sono dovute alla poca presenza di paracaduti sociali in questo tipo di economie e al limitato margine di intervento della politica in queste questioni. Chi invece riesce solitamente a tenere più basse le disuguaglianze è il modello socialdemocratico che vede un welfare molto più allargato rispetto a quello liberale.

Non a caso i paesi con questi tipi di economie, come Svezia e Danimarca, hanno il proprio indicatore sotto la media europea. L’Italia ha invece un sistema ibrido che però non è riuscito finora a garantire un freno alla crescita delle diseguaglianze che ora con l’arrivo della pandemia rischiano di aumentare nuovamente.

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