I tempi sono bui, il futuro è incerto per tante cose tranne che per il fatto che attraverseremo altri mesi, se non anni, molto difficili.  Eppure parole come austerità, sacrifici, razionamento, si sentono pronunciare ancora troppo poco. Per anni ci siamo sentiti dire che i nostri debiti sarebbero ricaduti sulle future generazioni, cosa che in fondo non ci disturbava più di tanto. In qualche modo si farà, pensavamo, l’importante è che per oggi le cose vadano avanti. Adesso è chiaro che i costi del debito pubblico, del Covid, della crisi energetica, della guerra, dovremo pagarli noi, assai prima dei nostri figli e nipoti. Molti in realtà li stanno già pagando pesantemente, ma la politico continua ad offrirci versioni edulcorate di quello che ci attende. Tanto vale allora che cominciamo a prepararci, in modo da non farci cogliere impreparati, per esempio ragionando sulle spese sanitarie.

Nel 2021 la spesa sanitaria pubblica è stata di circa 127 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti circa 40 miliardi di euro di spesa privata che per il 90 per cento esce direttamente dalle tasche dei cittadini.

A conti fatti, sommando pubblico e privato, la spesa per ogni cittadino si aggira intorno ai 2.500 euro. Non è facile dire quale parte di questa spesa sia essenziale e quale sia per varie ragioni evitabile, ma non andremmo lontano dal vero affermando che almeno 20 miliardi potrebbero essere risparmiati senza apportare danni significativi alla nostra salute. Vediamo tre esempi che ci mostrano dei possibili margini di miglioramento.

La medicina difensiva

Foto AGF

Per medicina difensiva si intendono tutti quegli interventi (esami, visite specialistiche, farmaci o procedure) che i medici prescrivono, anche quando non li ritengono necessari, solo per dimostrare il proprio scrupolo ed evitare il rischio di eventuali cause medico legali.

Alcuni anni fa il Centro Federico Stella dell’Università Cattolica di Milano e l’Ordine dei medici di Roma hanno raccolto in proposito numerosi questionari anonimi da un vasto campione di medici.  Dai loro dati risulta che il 77,9 per cento dei medici intervistati affermava di aver tenuto nel mese precedente uno o più comportamenti di medicina difensiva, che il 68,9 per cento aveva proposto il ricovero di pazienti che riteneva gestibili ambulatorialmente, che il 61,3 per cento aveva prescritto un numero di esami maggiore rispetto a quello che riteneva necessario e che infine il 51,5 per cento aveva prescritto farmaci inutili o non indicati.

Secondo una stima di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari, i costi della medicina difensiva ammonterebbero a circa dieci miliardi di euro all’anno. Poiché molti farmaci o esami strumentali non sono esenti dal rischio di effetti collaterali, è probabile che a questa somma debba essere aggiunto il costo, economico ma anche sanitario, dei disturbi iatrogeni che si sarebbero potuti evitare con una prescrizione più corretta.

Meno è meglio

A partire dagli anni Ottanta si è sviluppato, dapprima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo, una campagna dal nome di “Less is more” che invita le società scientifiche di medicina a dichiarare, ognuna per il proprio settore, quali siano i cinque interventi  maggiormente inutili o inappropriati.

Ad oggi le cure mediche considerate inappropriate dalle società scientifiche italiane sono oltre 220. Cito a caso, e a solo scopo esemplificativo, la prescrizione di una Tac o di una risonanza magnetica prima di un mese dall’esordio di una mal di schiena  (salvo alcuni casi molto specifici), il trattamento con antibiotici delle infezioni urinarie asintomatiche nelle donne e della maggior parte delle infezioni respiratorie dei bambini, l’uso di omeprazolo e analoghi per proteggere lo stomaco in corso di terapia cortisonica.

Se le società scientifiche e le associazioni mediche hanno sentito il bisogno di produrre queste raccomandazioni non è solo per risparmiare, ma piuttosto per evitare, anche in questo caso, possibili rischi per la salute dei cittadini. 

Si tratta evidentemente di una situazione diversa da quella della medicina difensiva. Là i medici prescrivevano pur nella consapevolezza che non avrebbero dovuto farlo, qua invece i medici prescrivono perché credono che sia giusto farlo.

In altre parole, molte di queste abitudini prescrittive sono diventate così pervasive da finire per essere considerate, tanto dai medici che dai pazienti, come delle regole di buon comportamento.

E la gente comune?

Appare evidente che questi comportamenti scorretti non dipendono solo dai medici, ma sono in parte stimolati e sostenuti dalle richieste e dalle ansie di chi a loro si rivolge. Il check up annuale che molti considerano una specie di assicurazione sulla salute ha senso solo per pochi esami o in chi già soffra di una malattia cronica.

L’uso regolare di integratori e di vitamine è nella maggior parte dei casi uno spreco di soldi e una falsa rassicurazione. Endoscopie, Tac, ecografie sono strumenti di grande utilità, ma solo quando sia chiaro che il loro risultato possa causare un’importante modificazione della terapia.

Legato come sono alla medicina d’urgenza non posso che ripetere quanto mi è già capitato di segnalare: nel corso della prima ondata di Covid gli accessi al prnto soccorso si sono più che dimezzati per diverse settimane. Non risulta che questo abbia prodotto gravi danni. Chi aveva qualcosa di serio andava lo stesso in ospedale, mentre chi sapeva di avere un problema banale se lo teneva e aspettava che guarisse da solo.  

Se tutto questo aveva un senso anche prima del Covid e della guerra in Ucraina, oggi non possiamo più far finta di non vedere continuando a permetterci l’elargizione di una serie di prestazioni sanitarie inutili o poco efficaci che fino ad ora ci siamo concessi, più o meno consapevolmente, solo per rispondere ai desideri o alle paure  nostre o dei medici che ci curano. 

Il patto è che ogni euro (miliardi abbiamo detto) risparmiato allo spreco, ogni ora di lavoro medico inutile siano reinvestiti per migliorare l’efficacia e l’efficienza della nostra sanità, per ammodernare le nostre strutture, per formare e retribuire adeguatamente medici e infermieri e contrastare la loro fuga dai reparti degli ospedali e dagli ambulatori della medicina generale.

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