I banchieri centrali vengono spesso valutati dalla capacità di dosare tempi e parole. Mario Draghi, da premier incaricato sarà giudicato dalla capacità di valutare i tempi della ripresa italiana e di trasformare le sue parole in fatti, mettendo alla prova concretamente la definizione di debito buono che ha invocato nel celebrato intervento sul Financial Times a inizio pandemia e che concretamente vuol dire scegliere quando come e per chi bisogna E vale la pena spendere.

Sergio Mattarella ha indicato chiaramente la tripla urgenza a cui siamo davanti: sanitaria, sociale quella meno ricordata dagli altri leader politici e invece nominata spesso dal capo dello Stato, e economico finanziaria.

Si tratta di completare la campagna vaccinale, ha detto Draghi, ma sarebbe meglio dire organizzare quella vera e propria, facendo fronte a carenza di personale e alla cacofonia regionale, e sul fronte economico di decidere come gestire la fine del blocco dei licenziamenti, di riprogettare il Recovery plan in un dialogo stretto con la Commissione europea in modo che quei fondi che moltiplicano per cinque la capacità di investimento italiana siano spesi bene.

Il progetto deve guardare alle giovani generazioni, citate da Draghi anche ieri, dopo che proprio i giovani erano stati al centro del suo discorso al meeting di Rimini, applauditissimo da una platea che li ha sempre trascurate.

Come spendere

Il paese che Mattarella ha deciso di affidare all’ex banchiere centrale ha appena toccato il picco della disoccupazione da dicembre 2019 e i numeri sono destinati ad aumentare rapidamente. Con il blocco dei licenziamenti, da mesi i bollettini mensili raccontano che la disoccupazione è nutrita soprattutto dal mancato rinnovo dei contratti a termine dei dipendenti e dalla scomparsa del lavoro autonomo. E se il tasso complessivo dei senza lavoro cresce quello dei giovani disoccupati cresce di più: a dicembre con un aumento dello 0,3 rispetto al generale 0,2 è arrivato al 29,7 per cento. E colpisce più le donne che sono in aumento anche tra gli inattivi, cioè coloro che non cercano più lavoro, rassegnandosi all’esclusione dal mondo produttivo.

Poi a marzo arriverà la marea: almeno 800 mila di lavoratori rischiano di perdere il posto. Draghi non è chiamato a spendere meno ma a scegliere come spendere e quella, come anticipato da Mattarella, sarà una delle prove più difficili. Ad agosto al festival di Comunione e liberazione si era augurato «politiche economiche che siano allo stesso tempo efficaci nell'assicurare il sostegno delle famiglie e delle imprese e credibili, perché sostenibili nel tempo» e aveva spiegato anche che alcuni settori probabilmente non sarebbero tornati al livello di prima, e che avremmo dovuto «accettare l'inevitabilità del cambiamento con realismo».

Ma questo significa dosare i tempi delle tutele e anche quelli delle misure che i partiti possono accettare – la Commissione europea da una parte ha sempre spinto per misure di sostegno al reddito, dall’altra chiede l’abolizione di Quota100 per rendere sostenibili le finanze pubbliche -, mentre scommettiamo su un settore o su un altro. E ha ovviamente molto a che fare anche con la possibilità di fare scelte industriali attraverso Next GenerationeEu.

Non è un caso che ieri a sostenere Mattarella si sia levata la voce del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a chiedere «riforme» e la «riprogettazione» del Recovery plan. La Confindustria di Carlo Bonomi proteggendo Roberto Gualtieri chiedeva la testa di Conte. E ieri Draghi ha citato le parti sociali oltre ai partiti tra gli interlocutori con cui si confronterà per fare «qualcosa di importante per il paese».

Recovery plan e Cdp

Per la paura di non essere in grado di spendere, il piano nazionale di ripresa e resilienza è stato costruito attorno ai progetti di ministeri e grandi aziende, in alcuni casi dando spazio alle più brave nel lobbying e in generale non partendo dalla valutazione dell’impatto della spesa e quindi dall’obiettivo finale, che si tratti del rilancio del Sud o della filiera dell’idrogeno. Mentre a scuola e giovani vanno di fatto 15 miliardi, poi, ad agosto l’ex governatore della Banca d’Italia diceva che tra tutti l’istruzione e l'investimento sui giovani era il settore «essenziale» per tutte le trasformazioni.

Manca ancora la governance – Draghi che ha lanciato personalità come Dario Scannapieco vicepresidente della Banca europea degli investimenti non ha certo problemi a scegliere qualcuno qualificato – un piano per la gestione dei progetti e il monitoraggio della spesa.

Ma soprattutto manca il dettaglio delle riforme – dalla giustizia civile alla riforma fiscale su cui rischiano di esserci problemi con la Lega – e tutto va messo a punto ben prima della scadenza di fine aprile per poter correggere il programma assieme a Bruxelles. Ad aprile, poi, per coincidenza scade anche il consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti, a cui ambiva Domenico Arcuri.

Cdp, dall’accordo con Eni e Snam per progetti di decarbonizzazione all’entrata in Confindustria energia per sostenere la filiera, dalla regia del progetto della rete unica al fondo innovazione, è un tassello fondamentale per quel «rilancio» che Draghi promette. Scelte che assieme al sistema di gestione del Recovery plan sono destinate a rimanere a prescindere della durata di un esecutivo di unità nazionale.

 

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