La richiesta è chiara, ripetuta a più riprese, nei momenti che contano. A pochi giorni dalla scadenza fissata a Bruxelles, il primo ministro Mario Draghi è andato a presentare alla Camera dei deputati il Piano nazionale di ripresa e resilienza che vale 222,1 miliardi – contando anche il fondo complementare da 30,6 miliardi – ma anche e soprattutto un programma di governo quinquennale che comprende riforme ripetutamente rinviate. Per la sua presentazione ha confezionato una cornice che è un appello ai partiti di assumersene la responsabilità, a non farsi i propri interessi. Lo dice cristallino all’inizio del discorso, Draghi, quando cita Alcide De Gasperi, facendo un riferimento all’Italia nata dal 25 aprile: «Vero è che il funzionamento della democrazia economica esige disinteresse, come quello della democrazia politica suppone la virtù del carattere». Spiega che l’Italia si sta giocando «la misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale, la sua credibilità e la sua reputazione come paese fondatore» e chi conosce gli equilibri troppo spesso fragili della architettura economica europea e la finestra di opportunità che si è aperta capisce il peso che possono avere queste parole. Dice che se questa occasione si perde potrebbe non esserci «più rimedio». Ma lo dice ancora più chiaramente alla fine quando scandisce: «Sono certo che onestà, intelligenza e gusto del futuro prevarranno su corruzione, stupidità e interessi costituiti».

I cambiamenti dell’ultim’ora

Ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione, direbbe qualcuno, ma nessuno sottovaluta gli interessi politici che possono muovere i partiti, soprattutto visti gli ultimi giorni di tensione con la Lega impegnata ad attaccare il suo stesso governo. Ma quanto possano essere minacciate le certezze di Draghi si vede dalle modifiche apportate al piano nelle ultime ore, letteralmente ultime. La versione definitiva  è stata completata alle 14 di ieri, due ore prima delle comunicazioni del primo ministro. Le modifiche si sono concentrate per la stragrande maggioranza nel capitolo giustizia, che lo stesso Draghi ha voluto mettere in cima alla lista delle riforme citate ieri, definendolo un dossier centrale su cui l’Italia si è impegnata con l’Unione europea.

Proprio poche ore prima di pronunciare queste parole, quel capitolo è stato modificato profondamente: i tempi sono slittati da settembre 2021 per l’approvazione della legge delega alla fine dell’anno, e dall’autunno del 2022 alla fine per l’approvazione dei decreti attuativi, lasciando aperta la finestra del 2023 per eventuali regolamenti. Soprattutto è sparita la frase che diceva che l’impatto della riforma sulla lunghezza dei procedimenti si sarebbe potuto vedere nel 2024. Un’affermazione che apriva lo spazio per una valutazione del rispetto degli impegni e che d’altra parte si proiettava anche oltre la fine della legislatura.

La riforma del fisco

Dall’altra parte, è entrata nel Recovery plan la riforma fiscale, come ha sottolineato l'ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che l’aveva fortemente voluta. Si tratta di un altro terreno minato politicamente, che il nuovo ministro Daniele Franco aveva in un primo momento evitato di inserire nel piano e che invece la Commissione europea ha insistito per reinserire.

Poi c’è il capitolo concorrenza. Draghi ha parlato delle sempre rinviate gare per le concessioni, si è impegnato alla «abrogazione delle norme che frenano la concorrenza» e «incidono negativamente sul benessere dei cittadini». «Dobbiamo impedire che i fondi che ci apprestiamo per investire finiscano solo ai monopolisti». Ma il piano di ripresa seppure molto ambizioso sul rafforzamento delle authority e apparentemente pietra di sepoltura de progetto della rete unica, insiste molto di più sulla liberalizzazione del mercato dell’energia e invece evita per l’ennesima volta di toccare gli interessi, molto organizzati, dei balneari ed è più blanda anche sulle concessioni autostradali. Non proprio un inno al disinteresse.

A livello generale il premier ha insistito molto sull’idea che i primi beneficiari del piano debbano essere donne e giovani, seppure i finanziamenti per gli asili e le scuole dell’infanzia siano gli stessi della prima versione. Il partito democratico ha ottenuto una clausola trasversale a tutte le missioni per l’occupazione femminile e giovanile. Anche le stime sull’impatto sono cambiate: i 222 miliardi di euro, circa 50 miliardi investiti in digitalizzazione e innovazione,d dovrebbero portare a 3,2 punti percentuali in più di occupati.

Per arrivarci il governo ha bisogno di tutti: non a caso il premier ha ricordato che gli enti locali hanno in mano quasi 90 miliardi di euro di progetti da gestire corrispondenti anche al 40 per cento delle risorse per la transizione ecologica. Allo stesso modo ha rassicurato sull’ecobonus – non è stato tagliato – e ha ringraziato i parlamentari allo «sforzo corale». «Non è stata una bella pagina di confronto parlamentare», hanno detto i Fratelli d’Italia, lamentando i tempi impossibili per il confronto. Ma sarebbe già un successo sei contrasti venissero solo dall’opposizione.

 

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