La scuola è un capitolo annoso per il nostro paese e la pandemia ha evidenziato non solo le carenze strutturali, ma anche la mancanza di un pensiero, di una strategia intorno a un modello di sapere. La valutazione che gli italiani hanno sulla scuola diviene, pertanto, un punto di partenza per fotografare la situazione e agevolare la riflessione.

Al primo posto, tra i problemi più pressanti del sistema d’istruzione c’è, per il 52 per cento, il tema dell’obsolescenza e astrattezza dei programmi di studio (aspetto sottolineato dal 67 per cento di Millennials e Generazione Z). Al secondo posto si collocano due differenti temi, entrambi condivisi dal 50 per cento delle persone: l’inadeguatezza delle dotazioni tecnologiche (al sud sale al 57 per cento) e la scarsa motivazione del personale docente (nelle regioni del centro nord è al 54 per cento). Immancabile è, inoltre, la questione dell’edilizia scolastica. Segnalata dal 47 per cento, è particolarmente avvertita nelle regioni del centro-sud (58 per cento). Il tema del sovraffollamento delle classi, in questa graduatoria stilata dalla ricerca dell’osservatorio Legacoop-Ipsos, è segnalato dal 37 per cento degli italiani, con un’accentuazione che coinvolge le persone appartenenti ai ceti popolari e i residenti nelle periferie urbane.

I problemi in classe

La mappa dei problemi non si ferma a questi temi. Tra i mali della scuola, segnalati dagli italiani, troviamo la percezione di una ridotta o insufficiente preparazione del personale docente (35 per cento), la cronica carenza di insegnanti (31 per cento), il supporto inadeguato agli studenti con difficoltà di apprendimento (23 per cento), nonché le insufficienze nei servizi per gli studenti disabili (23 per cento). Chiudono la graduatoria: le dotazioni e le forniture inadeguate (16 per cento), le scarse politiche di inclusione (15 per cento), i servizi mensa di bassa qualità (12 per cento), il permanere di barriere architettoniche per l’accesso e la libera agibilità degli istituti (8 per cento) e, infine, la presenza eccessiva di stranieri, denunciata solo dal 6 per cento.

Competenze e preparazione al lavoro

Dal punto di vista delle competenze fornite agli studenti, il sistema scolastico nazionale è percepito come inadeguato sia nella relazione e preparazione al mondo del lavoro, sia nel fornire una preparazione adeguata per affrontare le nuove sfide della società. Sul primo fronte, quello della relazione con il mondo del lavoro, le attese sono orientate in direzioni differenti. Per il mondo universitario, le priorità sono: stage in imprese (62 per cento), studio all’estero (60 per cento), presentazioni aziendali (57 per cento); per le scuole superiori l’attenzione è rivolta alla revisione dei programmi con insegnamenti più pratici, a corsi per far conoscere il mondo del lavoro, a scambi culturali con istituti europei. Sul secondo fronte, quello delle sfide verso il nuovo, gli ambiti più insufficienti sono ritenuti quello linguistico (56 per cento), quello ambientale e green economy (77 per cento) e, soprattutto, quello digitale (78 per cento). All’origine dell’inadeguata formazione al mondo digitale, vengono segnalati: la carenza di laboratori (60 per cento, dato che al Sud sale al 66 per cento), l’obsolescenza dei programmi didattici (55 per cento), la ridotta preparazione dei docenti (52 per cento), l’inadeguatezza delle strutture (52 per cento) e la mancanza di collegamento con le imprese (47 per cento). Contribuiscono all’inadeguatezza formativa sul mondo digitale anche la dispersione dei programmi di studi (37 per cento, tema avvertito in modo particolare dai giovani) e l’assenza di adeguate istituzioni culturali (26 per cento).

Prepararsi al lavoro

Dal punto di vista delle competenze fornite agli studenti, il sistema scolastico nazionale è percepito come inadeguato sia nella relazione e preparazione al mondo del lavoro, sia nel fornire una preparazione adeguata per affrontare le nuove sfide della società. Sul primo fronte, quello della relazione con il mondo del lavoro, le attese sono orientate in direzioni differenti. Per il mondo universitario, le priorità sono: stage in imprese (62 per cento), studio all’estero (60 per cento), presentazioni aziendali (57 per cento); per le scuole superiori l’attenzione è rivolta alla revisione dei programmi con insegnamenti più pratici, a corsi per far conoscere il mondo del lavoro, a scambi culturali con istituti europei. Sul secondo fronte, quello delle sfide verso il nuovo, gli ambiti più insufficienti sono ritenuti quello linguistico (56 per cento), quello ambientale e green economy (77 per cento) e, soprattutto, quello digitale (78 per cento). All’origine dell’inadeguata formazione al mondo digitale, vengono segnalati: la carenza di laboratori (60 per cento, dato che al sud sale al 66 per cento), l’obsolescenza dei programmi didattici (55 per cento), la ridotta preparazione dei docenti (52 per cento), l’inadeguatezza delle strutture (52 per cento) e la mancanza di collegamento con le imprese (47 per cento). Contribuiscono all’inadeguatezza formativa sul mondo digitale anche la dispersione dei programmi di studi (37 per cento, tema avvertito in modo particolare dai giovani) e l’assenza di adeguate istituzioni culturali (26 per cento).

La sfida di “teste ben fatte”

I dati e le segnalazioni che emergono dalla ricerca, specie dalle opinioni dei ragazzi e delle ragazze, aprono le porte alla necessità di una riflessione più complessiva sul nostro sistema formativo e fanno riecheggiare le parole di Edgar Morin scolpite nel suo La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero. Il filosofo francese critica l’eccessiva propensione alla “parcellizzazione del sapere”, esercitata attraverso l’insistenza sull’insegnamento-apprendimento di quantità di nozioni all’interno di settori separati. Un approccio che, secondo il filosofo, «forma soltanto una “testa ben piena”, nella quale il sapere è accumulato, ammucchiato e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione che gli dia senso». La missione dell’insegnamento, secondo Morin, è quella di puntare a «teste ben fatte», a cercare di «trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere». Una sfida che nel mondo tecnologico, iper-social e globalizzato in cui siamo, diviene centrale per preparare i giovani a gestire le dinamiche del cambiamento, ad affrontare la società dell’incertezza e della crescente complessità dei problemi, ma anche per distinguere, contestualizzare e affrontare problemi sempre più multidimensionali.

Una sfida per una scuola in grado di fornire una nuova cassetta degli attrezzi per il “saper fare” e per il “saper essere”, per stimolare la comprensione umana, la cittadinanza universale e per alimentare forme di pensiero e modi di agire aperti e liberi.

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