La cabina di regia del governo convocata per prendere una decisione in extremis sul blocco dei licenziamenti è terminata con la mediazione che ci si attendeva: ci sarà lo stop al blocco dei licenziamenti, ma escluderà il settore tessile e si discute anche sulla possibilità di una estensione della cassa integrazione straordinaria. Domani il primo ministro Mario Draghi incontrerà i sindacati per discuterne e intanto tutti possono rivendicare vittoria: chi perché il blocco si concluderà, chi perché è stato prorogato in maniera selettiva.

blocco licenziamenti

Per il sistema moda, – tessile, calzature, pelletteria – il blocco dei licenziamenti viene prorogato fino al 31 ottobre: il settore, che per sua natura ha bisogno di riagganciare i tempi ciclici delle stagioni e delle sfilate, era l’unico su cui tutti si sono trovati d’accordo: sindacati, Confindustria e tutte le parti politiche erano a favore della proroga, già da quando, il 21 aprile, si è tenuto al Ministero dello sviluppo economico il primo tavolo sul settore. Ma si è discussa anche la possibilità di altre tredici settimane di cassa integrazione straordinaria gratuita per le imprese che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali, anche se non è chiaro se sarà inserita nel decreto la condizione che queste aziende debbano essere coinvolte nei tavoli di crisi – secondo il Mise è infattibile non essendo i tavoli di crisi un istituto giuridico. Certa è invece l’estensione del blocco delle caselle esattoriali per altri due mesi.

Il ministro della Pa Renato Brunetta ha dichiarato: «Oggi abbiamo deciso di porre fine blocco dei licenziamenti, pur con una serie di eccezioni legate ai settori più in crisi. Denota la nostra volontà di tornare al mercato e alla fisiologia, ma difendendo i settori più in crisi». Al ministero del Lavoro di Andrea Orlando dicono che alla fine si è tornati al punto di partenza, a una mediazione. Del resto il problema rischia di riproporsi in maniera esponenziale a fine ottobre, quando in ballo non ci sono le grandi imprese ma quelle piccole. A quel punto però il ministero spera di essere riuscito ad anticipare alcune delle misure della sempre attesa e per ora abbozzata riforma degli ammortizzatori sociali.

L’attesa della riforma

La risposta più semplice da dare, anche se molto complessa da realizzare, per aiutare i lavoratori alla fine della pandemia e all’inizio della ripresa sarebbe infatti una buona riforma degli ammortizzatori e investimenti seri sulle politiche attive. Cioè quei provvedimenti di cui l’Italia ha molto bisogno – considerando il sistema di tutele frammentate - e di cui in questi giorni si discute assai poco.

L’impianto della riforma sarà pronto per luglio, e sarà poi introdotta con la legge di bilancio a partire dal 2022, ma intanto la fine del blocco dei licenziamenti è fissato il 30 giugno: tra pochissimi giorni infatti le aziende dell’industria e dell’edilizia potranno ricominciare a licenziare. Mentre per il settore dei servizi e dell’artigianato la proroga dura fino al prossimo 31 ottobre. E così il tentativo è cercare di scongiurare una emorragia di posti di lavoro, dopo quasi il milione perso nell’anno della pandemia.

I sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil avevano chiesto la proroga del blocco fino al 31 ottobre per tutti, con l’allungamento degli ammortizzatori sociali. Il segretario del Partito democratico Enrco Letta dal canto suo si è detto soddisfatto del compromesso. Poco prima dell’inizio della cabina di regia, Enrico Letta aveva riassunto in un tweet la posizione del Pd: «Chiediamo al governo ascolto e un’uscita graduale e selettiva dal blocco. È vero che settori come l’edilizia, trainati dall’ecobonus, vanno bene. Ma vanno aiutati i lavoratori di settori in difficoltà, come tessile, servizi e aree di crisi». Eppure anche all’interno del suo stesso partito esponenti che si sono sempre occupati di lavoro come l’ex ministro Cesare Damiano hanno sostenuto che il blocco selettivo rischiava di concentrare i licenziamenti in settori come il metalmeccanico.

La discussione sulle imprese che hanno terminato gli ammortizzatori sociali riguarda anche le “aree di crisi” di cui parlava Letta che infatti per la stragrande maggioranza precipitate da anni nel limbo della cassa integrazione. Secondo l’ultimo rapporto di Invitalia, l’agenzia in house del Mise, solo le aree di crisi industriale complessa sono quattordici. Si va dalla sempiterna Termini Imerese, dove la cassa integrazione è in corso dal 2010 a Portovesme, dalle città portuali di Livorno e Trieste, alla Taranto dell’Ilva fino ai petrolchimici di Gela e Venezia. Dalla Campania il presidente della regione, Vincenzo De Luca, si è appellato al governo perché siano bloccati i licenziamenti per la crisi Whirlpool, un blocco ad aziendam però difficilmente giustificabile.

 

© Riproduzione riservata