«Il Covid-19 non fa distinzioni» è una frase divenuta ricorrente in questo anno di pandemia. L’idea che le nostre società sempre più polarizzate e diseguali abbiano affrontato una malattia devastante che colpisce in modo indiscriminato è una piccola consolazione di fronte a tanti lutti e tanta sofferenza. Ci sembra che sia una prova meno dura, se la stiamo affrontando tutti insieme, allo stesso modo.

Purtroppo, questa consolazione è profondamente falsa. Il Covid-19 ha colpito in maniera sistematica i più poveri. Gli ultimi, i più fragili hanno pagato il prezzo più alto. I casi di India e Brasile, dove la povertà, la storica debolezza dei sistemi sanitari e una gestione politica irresponsabile, hanno prodotto una tragedia umanitaria di cui ancora ci sfuggono le esatte dimensioni, stanno lì a ricordarcelo.

Colpendo più una parte della società, il Covid-19 ha avuto effetti diversi a seconda del genere, del lavoro, del paese in cui si viveva. Ma anche all’interno delle stesse città, gli effetti della pandemia sono stati diversi da quartiere a quartiere.

Gli studi

Negli ultimi mesi sono stati pubblicati dozzine di articoli scientifici che mostrano come la crisi da Covid-19 abbia evidenziato, e in alcuni casi accresciuto, le disuguaglianze presenti nella società. L'economista francese Stefanie Stantcheva, professoressa ad Harvard, ha pubblicato una sintesi delle principali disuguaglianze esacerbate dalla pandemia. Disugaglianze in campo di distribuzione della ricchezza, di possibilità di lavoro da remoto o di poter studiare oppure no.

Sono disuguaglianze non solo presenti fra paesi più ricchi e paesi più poveri, ma che possiamo ritroviamo anche tra le aree più benestanti e quelle più in difficoltà dei nostri paesi.

Nel complesso, la mortalità da Covid-19 è stata più alta nelle regioni europee più povere, così come nelle regioni più povere degli Stati Uniti. Fra i motivi per cui si è registrato questo divario, studi hanno dimostrato che c’è proprio la difficoltà nell’adottare misure di prevenzione come il distanziamento sociale e la riduzione di mobilità.

Per esempio, alcuni ricercatori americani hanno dimostrato che la mobilità è diminuita in misura maggiore nelle contee più ricche. Non bisogna però confrontare solo paesi e regioni ricche con paesi e regioni povere. Le disuguaglianze della pandemia si possono trovare ovunque: anche nelle nostre stesse città, dove l’incidenza della pandemia è stata diversa da quartiere a quartiere.

Città divise

A Roma, ad esempio, i quartieri più colpiti (Martignano, Grotta Ovest, Grigna) hanno registra intorno ai 1.000 casi di Covid-19 complessivi ogni 10mila abitanti. Tra i quartieri meno colpiti (il Celio, l’Esquilino e Trastevere) si registrano non più di 300 casi per 10mila abitanti.

«A Roma l’area più colpita è quella che noi chiamiamo «la città del disagio» che comprende le case popolari e i quartieri ex abusivi ed è seguita dalla cosiddetta città-campagna quella delle periferie lontane e rarefatte», dice Salvatore Monni, professore di economia dello sviluppo all’Università di Roma Tre e animatore del progetto Mappa Roma. Il minimo dei contagi, prosegue, «si ha invece nella città storica del centro turistico».

La stessa distribuzione la si ritrova in tutte le metropoli italiane, continua Monni, a Milano, come a Torino e Napoli. All’estero la situazione non cambia. A Londra la maggior parte dei casi sono concentrati nell’area ad alta immigrazione di Londra est, mentre il centro della città, l’area della City e dei quartieri centrali come Kensington e Chelsea, registra tassi più bassi.

A New York, oltre Staten Island, quartieri come Brighton Beach a Brooklyn o Kingsbridge nel Bronx hanno registrato da inizio pandemia più di 10mila casi ogni 100mila abitanti. Nei quartieri invece di Manhattan come Chelsea, Tribeca e tutto il Lower Manhattan il contagio non raggiunge i 5mila casi ogni 100mila abitanti dall’inizio della pandemia.

Non solo New York, ma in molte città statunitensi i dati dimostrano che esiste anche un divario etnico: i quartieri con una popolazione nera o ispanica più elevata hanno sistematicamente un’incidenza del contagio e dei decessi per coronavirus maggiore rispetto ai quartieri abitati da per lo più di bianchi.

Un recente studio ha dimostrato come a Chicago, i residenti in quartieri altamente segregati e con una maggiore vulnerabilità sociale, come livelli più elevati di povertà e livelli più bassi di istruzione, reddito e occupazione, sono stati esposti in modo sproporzionato a rischi sociali e sanitari della pandemia.

Le disuguaglianze alla fine vengono registrate anche nei decessi. I dati delle persone che sono morte per Covid-19 nel 2020 hanno rivelato che i decessi di persone ispaniche, afroamericane e di altre minoranze sono sovrarappresentati rispetto alla distribuzione delle varie etnie nella popolazione americana.

Una disparità che ora si registra anche con la campagna vaccinale: più del 30 per cento della popolazione bianca e asiatica di New York è completamente vaccinata, mentre nemmeno il 20 per cento di afroamericani o ispanici ha ricevuto entrambe le dosi di vaccino.

Le cause

Sono molte le ragioni che spiegano questi divari. Hanno a che fare con il tipo di lavori che fanno le persone che abitano nei quartieri più poervi, con la qualità delle loro abitazioni, con il reddito che hanno a disposizione per acquistare dispositivi di protezione.

«Chi vive nei quartieri dove il disagio è maggiore svolge quasi sempre lavori che non si prestano ad essere tenuti a distanza», spiega il professor Monni. Il livello di istruzione è una buona spia di questo fenomeno. Nel ricco quartiere dei Parioli, a Roma, ad esempio, la percentuale dei laureati è vicina al 50 per cento, mentre a Tor Cervara la percentuale di laureati non raggiunge il 6 per cento.

Chi vive nei quartieri poveri è spesso impiegato nel commercio, nella ristorazione, nella logistica e nella manifattura. Sono costretti a presentarsi al lavoro e spesso per farlo devono utilizzare mezzi pubblici che, nelle ore di punta, erano affollati anche nei momenti peggiori della pandemia.

Un’altra differenza la fa l’affollamento delle abitazioni. Vivere in tanti in poco spazio significa facilitare le possibilità di contagio casalingo. Inoltre, è più difficile rispettare una quarantena per una famiglia con un componente positivo al coronavirus se possiede un solo bagno e ha pochi metri quadrati di spazio a disposizione per separarsi.

Nelle zone est di Roma, le più povere e più colpite dal contagio, la superficie media per abitazione occupata può essere meno della metà di quella delle case del centro. Infine, ricorda Monni, c’è anche la questione del denaro disponibile per proteggersi. Chi vive nei quartieri più poveri, spiega: «non può permettersi di spendere 200 euro al mese che è la spesa media di un nucleo famigliare di quattro persone per l’utilizzo di mascherine ffp2».

A più di un anno dall’inizio della pandemia è forse arrivato il momento di abbandonare le narrazioni consolatorie e guardare in faccia la realtà. «In realtà il Covid-19 distingue benissimo e ad essere più colpiti sono proprio i più poveri e i meno istruiti», dice Monni. Soltanto riconoscendolo potremo cercare di fare meglio la prossima volta.

 

© Riproduzione riservata