Sembra ormai inevitabile che tre elementi tra loro inestricabilmente intrecciati siano destinati a convergere a breve e a riaccendere, con le consuete modalità carsiche, il dibattito sul cosiddetto “fine vita” in Italia. Il primo è il referendum, previsto la prossima primavera, per la modifica dell’articolo 579 del codice penale, che punisce l’omicidio del consenziente.

La sentenza

Il secondo è il pronunciamento n. 242/2019 della Corte costituzionale, a proposito del caso DJ Fabo/Marco Cappato, per violazione dell’articolo 580 del codice penale che punisce l’istigazione e l’aiuto al suicidio. In questa sentenza la Corte ha rilevato elementi di criticità dell’articolo, e indicato quattro criteri di esclusione della punibilità. Il terzo, innescato dal precedente, è l’iter della proposta di legge sul suicidio assistito di cui sono relatori i parlamentari Bazoli (PD) e Provenza (M5S). Questa si pone in una posizione per così dire intermedia tra la situazione attuale di chiusura assoluta e quella che scaturirebbe da un eventuale successo del referendum, che collocherebbe di colpo l’Italia ai primi posti, se non al primo, in termini di apertura all’eutanasia.

Come spesso accade, non solo in Italia, il dibattito su questi temi ha assunto la forma di una contrapposizione tra punti di vista difficilmente negoziabili che fanno riferimenti a valori etici inconciliabili. È un dibattito anche utile, ma che potrebbe trarre qualche beneficio da un’osservazione non partigiana delle esperienze fatte nei paesi in cui norme di questo tipo sono già state introdotte. Non tanto, come spesso avviene, in termini di confronti tra le norme, quanto in termini di valutazione delle dinamiche che concretamente quelle norme hanno generato.

Morte assistita

Com’è noto, a oggi, forme di legalizzazione, o depenalizzazione, di una o più forme di morte medicalmente assistita sono state adottate da nove paesi. Sei si trovano in Europa: Svizzera, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Germania, Spagna. Tre sono nelle Americhe: Colombia, Canada e undici dei cinquanta stati Usa. Le forme sono diverse. Si va dal suicidio medicalmente assistito all’eutanasia volontaria, fino a casi di eutanasia non volontaria. L’Istituto Cattaneo ha preso in considerazione, e analizzato in modo rigoroso, tutti i dati disponibili fino a questo momento allo scopo di analizzare le dimensioni e l’andamento nel tempo di queste morti medicalmente assistite.

A suscitare la prima sorpresa sono le fortissime differenze assunte dalle dimensioni del fenomeno. Il numero di morti medicalmente assistite, genericamente intese, varia da una media di poco più di 1 ogni mille decessi nello stato della California, a una di quasi 27 in Olanda. In generale è facile vedere che, passando da una sponda all’altra dell’Oceano, quelle che le leggi americane definiscono “morti con dignità” o “scelte di fine vita” crescono decisamente, e raggiungono il loro massimo in Belgio e proprio in Olanda.

Dato che la stragrande maggioranza delle richieste di accesso alla morte medicalmente assistita riguarda tipicamente pazienti oncologici (dove i dati sono disponibili, oltre due terzi del totale) si potrebbe presumere che le dimensioni del fenomeno siano riconducibili a divari nell’incidenza dei tumori. Tuttavia, il tasso di decessi per tumore è massimo in Olanda, negli stati di Washington e Oregon, e minimo in Belgio e Svizzera. Non sembra quindi che distanze così macroscopiche possano essere ricondotte a divari nella diffusione dei tumori tra la popolazione. Se in Olanda l’incidenza delle morti medicalmente assistite è superiore a quella di Svizzera e Belgio, e se l’incidenza delle morti assistite in questi paesi è superiore a quella che si registra in Usa, questo sembra piuttosto riconducibile a differenze nelle opinioni pubbliche. I livelli di resistenza di queste ad accettare l’idea che alla vita possa essere messa fine in base a una scelta deliberata - sia essa di un individuo, di una famiglia, del personale medico, o anche di un’istituzione o di una qualche combinazione tra questi attori – varia molto.

Questione di scelta

L’accettabilità dell’eutanasia raggiunge i suoi valori massimi proprio in Olanda, Belgio, Svizzera, e quelli minimi negli Stati Uniti. È un gradiente che rispecchia, fra gli altri, differenze nel livello di secolarizzazione. Le religioni monoteiste hanno sempre esercitato un impatto decisivo sugli atteggiamenti verso i suicidi e l’eutanasia, e non smettono di farlo nemmeno oggi. E in quest’ottica va anche inquadrata la collocazione dell’Italia, il cui livello di accettazione della morte medicalmente assistita è certamente molto cresciuto negli ultimi anni e risulta oggi superiore a quello che si registra nella maggioranza degli stati americani, ma è comunque inferiore a quello rilevabile nei quattro paesi europei, e perfino in due tra gli assai meno secolarizzati Stati Uniti.

La crescita

Ma c’è una seconda questione che le esperienze consolidate aiutano a inquadrare meglio. Se consideriamo l’andamento delle morti assistite nei vari paesi è facile osservare due dinamiche. La prima è che in tutti si è registrata una crescita quasi costante. A dieci anni dall’introduzione delle morti assistite il tasso annuo di crescita ha variato tra l’8% dell’Olanda e oltre il 15% della Svizzera. La seconda è che nessuno dei paesi considerati ha mai interrotto la propria corsa. Significa che chi introduce la morta assistita è destinato a vederla correre su un piano inclinato, come paventano i critici della legalizzazione? Difficile dirlo al momento. È una dinamica compatibile con spiegazioni diverse: l’invecchiamento della popolazione, un rilassamento delle definizioni o dei criteri stessi di accesso, un processo di progressivo abbassamento delle resistenze a richiedere una pratica mano a mano che questa si diffonde e viene percepita come sempre più “normale”. A guardare bene però sono in gioco anche fattori istituzionali.

Questione individuale

Dove il percorso è più concepito come una questione individuale con un ruolo solo ancillare dei medici, come in Svizzera, la crescita appare più marcata. Ed è proprio sui fattori istituzionali, sulle norme certo, ma anche sulle concrete procedure di accesso e di valutazione delle richieste che si giocherà la vera partita quindi.

Nelle settimane che ci aspettano il confronto su questi temi tornerà più acceso di prima. Ma se è lecito nutrire dubbi che possano davvero essere i fatti a indirizzare un dibattito così polarizzato, è altrettanto chiaro che prendere posizione su un tema controverso senza tenere conto proprio dei fatti è poco auspicabile.

Asher Colombo insegna Sociologia generale e Sociologia della devianza nell'Università di Bologn ed è presidente dell’Istituto Cattaneo. L'analisi completa è reperibile sul sito della Fondazione di ricerca Istituto Cattaneo alla pagina www.cattaneo.org

 

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