L’idea di sbloccare i licenziamenti non divide solo i vertici dei partiti, ma anche gli elettori. L’Italia che sta faticosamente uscendo dall’emergenza sanitaria, ha di fronte a sé un altrettanto grosso macigno. Oggi il 61 per cento degli italiani ha paura più della crisi economica che del virus (39 per cento). Un dato di apprensione che sale al 70 per cento tra i ceti più bassi e popolari.

A determinare la maggior apprensione è la questione del lavoro. Gli Italiani, insieme ai Sudafricani, sono in vetta alla classifica globale, stilata nei primi mesi del 2021 da Ipsos Global Advisor, per il livello di apprensione per la stabilità del proprio posto di lavoro (entrambi al 62 per cento), seguiti dagli spagnoli (57), dai coreani del sud (52) e dai messicani (51).

La cassintegrazione

Nel corso delle ultime settimane il livello di apprensione sulla cassintegrazione è aumentato ed è diventato stringente.

Le persone che affermano di avere oltre il 75 per cento possibilità, in una scala da 1 a 100, di essere messo in cig, è pari al 16 per cento. Un dato che sale al 18 per cento tra le donne (contro il 13 degli uomini); che vola al 30 per cento tra le persone appartenenti al ceto medio basso (contro il 9 del ceto medio); che è al 9 per cento a Nord est contro il 22 nel centro Italia (15 per cento a nordovest e 17 al sud).

Dal punto di vista politico, la paura di essere messo in cassa interazione riguarda il 27 per dell’elettorato pentastellato, il 3 per cento della base del Pd, il 21 per cento dei supporter della Lega di Matteo Salvini e il 18 per cento dei fan di Giorgia Meloni.

L’angoscia per il lavoro

Oltre l’apprensione per la Cig il nostro paese è attraversato dall’angoscia di perdere definitivamente il proprio posto di lavoro o la propria attività.

Sempre considerando solo quanti giudicano probabile la perdita della propria occupazione, in una percentuale superiore al 75 per cento, scopriamo che tra i lavoratori occupati a tempo indeterminato la possibilità coinvolge il 7 per cento delle persone, ovvero 1 milione e 61 mila lavoratori (calcolo effettuato prendendo a base il dato dell’Istat del quarto trimestre 2020 sul numero degli occupati a tempo indeterminato pari a 15 milioni e 166 mila persone). Provando a mutare angolatura e a osservare la previsione di perdita completa del posto di lavoro tra gli attuali cassaintegrati, il dato cresce in modo esponenziale toccando la vetta del 65 per cento.

Più basso, ma pur sempre significativo è il dato tra i lavoratori che hanno un contratto a tempo determinato: 18 per cento.

Il rischio di perdere la propria occupazione è maggiore tra le persone che hanno tra i 30 e i 50 anni (17 per cento), tra gli appartenenti ai ceti bassi e popolari (43 per cento contro il 7 del ceto medio) e i residenti al sud (21 per cento rispetto all’8 del nordovest e al 13 del nordest).

Il quadro pernicioso non riguarda solo i lavoratori dipendenti, ma anche i liberi professionisti, le partite iva e il mondo della piccola imprenditorialità. Tra essi la percentuale di alta probabilità di chiusura dell’attività si aggira intorno al 27 per cento. Da un punto di vista politico, la quota di persone che avverte come altamente a rischio la propria occupazione (dipendente o autonoma), coinvolge il 4 per cento degli elettori Pd, l’11 per cento dei pentastellati, il 16 per cento dei fan di Salvini, il 12 per cento dei sostenitori di Berlusconi e il 34 per cento del blocco di Meloni.

Sblocco o non sblocco?

La discussione che si è accesa in questi giorni, pertanto, va a incidere su una situazione che, fino ad ora, era rimasta narcotizzata, grazie alla sospensione dei licenziamenti. Nell’opinione pubblica, la maggioranza relativa, ovvero il 39 per cento è favorevole all’estensione del blocco dei licenziamenti fino al 31 dicembre 2021.

Una posizione condivisa dal 35 per cento dei sostenitori di Letta, dal 47 degli M5s, dal 45 per cento della Lega e dal 31 per cento di Fratelli d’Italia. Un’altra quota importante di italiani, pari al 35 per cento, pur disponibile verso lo sblocco, richiede garanzie per almeno altri 24 mesi per i licenziati. Infine, il 27 per cento, si dice favorevole allo sblocco auspicando solo nuovi percorsi di sostegno per le famiglie. Su questo fronte troviamo il 26 per cento degli elettori Pd, il 32 per cento dei berlusconiani, il 26 per cento dei leghisti, il 27 per cento dei Cinque stelle e il 36 per cento degli elettori di FdI.

Il quadro dei dati mostra alcune evidenze. In primo luogo la cassa integrazione Covid è vissuta dalle persone come un’anticamera del licenziamento. In seconda battuta l’impatto sociale, di uno sblocco dei licenziamenti non gestito, rischia di avere un impatto sia in termini di numero di persone coinvolte, sia di avere un impatto depressivo sui livelli di fiducia dei consumatori e sul clima sociale del paese, deprimendo nuovamente la ripresa di speranza che in questi mesi, faticosamente, si sta ridefinendo.

Infine, un percorso non gestito potrebbe portare a una ripresa della tensione sociale che già così, sotto la cenere, vede il 51 per cento degli italiani presagire rivolte e scontri sociali. Non si tratta di fare le Cassandre, ma di evidenziare solo un dato quasi lapalissiano: dopo un anno di sacrifici e lockdown, il paese ha bisogno di iniezioni di speranza e fiducia, non di nuove tensioni e compressioni.

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