Inizia a farsi sentire una subcultura che sfida le norme dominanti della società iperconnessa e cerca di riappropriarsi del proprio tempo, resistendo alle pressioni della costante connettività e messa in scena online
La voglia di apparire, la caccia al selfie, la ricerca dell’applauso e dei like, la voglia di primeggiare e essere sempre sul palcoscenico della vita per farsi ammirare, trascina con sé anche i suoi opposti, come la Goblin mode e la “Resistenza” digitale.
Il 28 per cento dei giovani non ama andare a ballare. Il 9 per cento dei ragazzi e delle ragazze è disinteressato allo shopping. Il 15 per cento dei giovani e il 23 per cento degli adulti non ama vestirsi alla moda. Il 17 per cento delle persone (12 tra i giovani) non ama primeggiare, mentre Il 12 per cento vuole vivere tranquillo e non è alla ricerca di emozioni forti e avventure e il 24 per cento ama stare nella sua casa (28 tra i giovani) per gustarsi la realtà domestica.
Il 24 per cento delle persone non ama mangiare fuori casa, mentre il 13 per cento (21 tra i giovani) ama passare tempo con i propri familiari, così come l’11 per cento (13 tra i giovani) è un abitudinario e cerca di fare sempre le stesse cose.
Modalità “goblin”
L’essere in modalità goblin (termine derivato dai folletti vestiti di stracci e con qualche deformazione corporea, diventati famosi con il Signore degli Anelli) vuol dire sentirsi comodo, dedicare poca cura alle apparenze, essere momentaneamente disinteressato all’estetica. È una soluzione temporanea, è la ricerca di riconnettersi con sé stessi. La dimensione goblin è uno stato d’animo, è il rifiuto delle aspettative sociali in modo edonistico, la rinuncia temporanea a quegli stili di vita dominanti percepiti come eccessivamente sofisticati e affaticanti.
Essa è il rigetto di alcune pressioni estetiche (cura dell’aspetto fisico, tendenze della moda e dell’outfit) e voglia di indulgere nei piaceri e nell’ozio (dal cibo spazzatura, a passare tempo a letto o sul divano, al dedicarsi a binge-watching di serie tv). La dimensione goblin delinea una forma di disimpegno sociale (evitare interazioni, cancellare piani, ignorare messaggi o chiamate); una ricerca di una autenticità grezza e punta al comfort e al rifiuto del perfezionismo e performativismo digitale.
Contro l’iperconnessione
L’iperconnessione e il presenzialismo sui social portano con sé anche una forma di “Resistenza” digitale o disconnessione selettiva. Il 12 per cento degli italiani (8 tra i giovani) afferma che preferisce stare alla larga dai social.
Per il 15 per cento dei giovani è poco importante avere tante visualizzazioni delle proprie storie sui social o avere like; per il 13 per cento dei giovani non è importante avere tanti follower sui social. Il 9 per cento non è assillato dall’ansia di perdere le storie e quello che stanno facendo i suoi amici. Il 22 per cento non ha l’affanno di postare subito le cose che fa per mostrarle agli altri e, sempre il 22 per cento, non ambisce a far vedere che fa le stesse cose che fanno i suoi amici.
Questo gruppo di persone, seppur minoritario, rappresenta una controtendenza rispetto alla cultura dominante dell’esposizione costante sui social. Cal Newport (in Minimalismo digitale) ricorda che il minimalismo digitale è una filosofia che aiuta a individuare quali strumenti digitali (e quali comportamenti) aggiungono davvero valore alla vita. Quanti preferiscono stare alla larga dai social e quelli che non danno importanza ai like e al numero dei follower sono i pionieri di una cultura “slow social”.
Strettamente connesso alle forme di “Resistenza” digitale c’è il fenomeno della cosiddetta Jomo (Joy of Missing Out, la gioia di perdersi qualcosa sui social), contrapposta all’ansia della Fomo (Fear of Missing Out, la paura di perdersi qualcosa sui social). Una dinamica rappresentata bene da quel 9 per cento dei giovani che non è assillato dall’ansia di perdere le storie degli amici.
Infine, abbiamo forme anche di resistenza al conformismo digitale. Le persone che non hanno l’affanno di postare le cose che fanno e quelle che non ambiscono mostrare di fare le stesse cose che fanno gli altri, incarnano una dinamica anticonformista, alla ricerca di esperienze autentiche senza la pressione della performance digitale costante.
Slow social, Jomo, anticonformismo digitale rappresentano l’emergere di una subcultura che sfida le norme dominanti della società iperconnessa e cerca di riappropriarsi del proprio tempo, dell’attenzione e del valore dell’autenticità personale, resistendo alle pressioni della costante connettività e messa in scena online.
Un tentativo di sfuggire alle forche caudine del paradosso dell’individualismo di massa, in cui le persone, nel tentativo di distinguersi, finiscono per aderire a modelli di comportamento e valori ampiamente promossi dalla cultura del consumo e dell’edonismo.
Nota metodologica: rilevazioni Cawi multiple su panel Ipsos digital, campione nazionale di 800 soggetti maggiorenni, segmentati per sesso, età e zona di residenza realizzata tra ottobre e dicembre 2024; campione di 1200 giovani tra i 14 e i 19 anni realizzata a fine del 2023.
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