Che disastri possono nascere in nome del consenso. Il governo Meloni ha fatto una cosa giusta e l’ha trasformata in un fallimento clamoroso: non rinnovare gli sconti orizzontali sulle accise sui carburanti è una misura di buon senso, considerando i costi e la non equità del beneficio.

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Eppure, l’esecutivo non è riuscita a difenderla, si è inventato una speculazione inesistente che ha portato sulle barricate benzinai e tutto il comparto energetico, è corso ai ripari smentendo sé stesso – i prezzi erano alti anche con altri governi – e per correre ai ripari ha prorogato i bonus carburanti per i dipendenti fino a fine 2023, una misura di facciata, visto che riguarda solo una esigua parte dei lavoratori cioè coloro che lavorano per le aziende di maggiori dimensioni.

All’ultimo, ieri mattina, ha deciso di non inserire inserire l’automatismo che avrebbe indirizzato gli aumenti dell’extragettito Iva incamerato con l’aumento dei prezzi del petrolio per la riduzione delle accise, un meccanismo che avrebbe chiuso al governo la possibilità di usare quelle risorse per altro. E al momento il governo ha bisogno di risorse come non mai.

Le scadenze di fine marzo

Con questo precedente cosa succederà a fine marzo, quando si accumuleranno una serie di scadenze non da poco per l’esecutivo, tra la fine degli aiuti contro il caro energia, praticamente la maggioranza dei 21 miliardi in deficiti della legge di bilancio, la diminuzione degli acquisti della Bce e la necessità di mettere nero su bianco i saldi nel Def?

La buona notizia di inizio anno, è che i prezzi del gas hanno iniziato a calare, a dicembre attorno sotto gli 80 euro/MWh, ma ancora un livello molto alto rispetto ai 20 euro della prima metà del 2021.

I prezzi delle bollette dovrebbero calare, ma secondo gli esperti perché la riduzione si trasmetta agli altri beni energetici ci vuole circa un trimestre. Lo stesso si può dire delle prospettive delle imprese, che hanno portato l’Italia alla recessione tecnica alla fine dell’anno.

Ottimismo ingiustificato

Coincidenza vuole che proprio a partire da marzo, la Banca centrale europea inizierà anche la riduzione del suo portafoglio di titoli obbligazionari che sono per la maggior parte titoli italiani: secondo il bollettino della Banca centrale dovrebbe essere ridotto di 15 miliardi al mese fino a giugno 2023. I dettagli sull’operazione però saranno decisi nella riunione del consiglio direttivo di febbraio.

Allo stesso modo dipenderà dalla Bce decidere se considerare un rallentamento nel ritmo del rialzo dei tassi, tenendo conto che il picco dell’inflazione è stato superato, ma al momento sembra andare in questa direzione.

Queste decisioni hanno dei riflessi diretti sul costo di rifinanziamento del nostro debito: il rialzo dei tassi ha già aumentato la spesa per il debito di 19 miliardi di euro per l’anno in corso, quando dovremo piazzare più di 270 miliardi di debito, esclusi i Bot, e aumenterà di 30 miliardi per il 2024.

Giorgetti ha promesso che nel Def da presentare a inizio aprile, «saranno considerati tutti i fattori di rischio» e «verranno valutati eventuali nuovi aiuti contro il caro energia». Peccato che già la nota di aggiornamento del Def licenziata da Giorgetti a novembre, prevedeva stime per il 2024 considerate troppo ottimistiche, dalle analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio.

Lo show sul Mes

Con questa prospettiva di medio termine, già nel breve periodo il governo avrà un problema da risolvere: lunedì l’Eurogruppo ha in agenda un aggiornamento sul processo di ratifica del Mes, su cui il governo ha imbastito un altro spettacolo.

Quando il presidente Pascal Donohoe ha incontrato Giorgetti la settimana scorsa ha dichiarato di essere ottimista sulla ratifica, nonostante lo stesso Giorgetti, per non scontentare nessuno, e in particolare gli economisti del suo partito, avesse assicurato che la discussione sarebbe toccata al parlamento e quindi alla maggioranza di governo che non la vuole.

Poi l’esecutivo ha fatto sapere di avere incontrato il neo direttore Pierre Gramegna per chiedere correttivi alla riforma, modifiche che già ieri i diplomatici europei escludevano. I processi di riforma a 19 sono complessi e richiedono tempo: l’incontro è di fatto servito soprattutto a dare un segnale politico interno. Il meccanismo europeo di stabilità è uno strumento fuori dal tempo per diversi motivi, ma è anche lo strumento per garantire il paracadute di ultima istanza del fondo di risoluzione unico per il sistema bancario.

Il governo italiano avrebbe l’interesse a ratificarlo solo per questo. Ma se l’esecutivo è annegato nella benzina, chissà se riuscirà ad affrontare un passaggio politicamente ancora più complicato per i suoi equilibri interni. Da qui alle regionali, la destra sarà in campagna elettorale, il peggio deve ancora venire.

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