C’è chi lo considera un vendicatore dei mercati finanziari, il migliore cercatore di truffatori miliardari in colletto bianco e chi - spesso le aziende che denuncia – lo riduce a un furbo investitore che guadagna dai crolli in Borsa delle sue vittime.

Ma certamente Nate Anderson, 38 anni, fondatore della società di ricerca americana Hindenburg Research Llc, sta facendo a suo modo la storia. Ieri mattina poco prima dell’apertura della Borsa di Mumbai, Hindenburg ha pubblicato un corposo rapporto sull’impero di Gautam Adani, che ha portato il gruppo a perdere complessivamente qualcosa come 12 miliardi di dollari.

L’indiano Adani è attualmente l’uomo più ricco di tutto il continente asiatico, ha da poco superato in patrimonio Jeff Bezos e Elon Musk, piazzandosi ai primi posti dei miliardari globali. Il suo impero famigliare, nato alla fine degli anni Ottanta e ramificato in sette diverse principali società quotate, è partito dal business delle materie prime e del carbone, si è espanso nelle infrastrutture e nei porti – vero punto di forza degli affari di famiglia – nei media. Oggi come tanti altri sta investendo e si sta riciclando anche nelle tecnologie “sostenibili” – in India ha accordi anche con Snam nel settore dell’idrogeno.

Questa crescita, però, è fondata su opacità evidenti a molti analisti: alti debiti, alti valori azionari, coinvolgimenti in diverse indagini e soprattutto un giro di trasferimento di fondi attraverso società offshore, dagli Emirati Arabi alle Mauritius, da Singapore a Cipro alle isole caraibiche: imprese formalmente indipendenti ma che secondo Hindenburg sono scatole vuote in realtà nelle mani di uomini del gruppo.

La rete offshore

Secondo la società di ricerca, Vinod Adani, il fratello del patron del colosso industriale, «attraverso diversi stretti collaboratori, gestisce un vasto labirinto di società di comodo offshore». Hindenburg ne ha identificate almeno 38.

Molte non hanno «segni evidenti di attività, inclusi dipendenti segnalati, indirizzi o numeri di telefono indipendenti e nessuna presenza online significativa», ma hanno trasferito collettivamente miliardi di dollari in entità private e quotate in borsa del gruppo. Tutto senza segnalazione, obbligatoria, che si trattasse di operazioni con parti correlate. Secondo la denuncia di Hindenburg la funzione di questa rete societaria sarebbe molteplice: servirebbe per parcheggiare i fondi della famiglia, per il riciclaggio di denaro e per usarlo a piacimento quando serve liquidità alle società, quotate del gruppo, «al fine di mantenere l'apparenza di salute finanziaria e solvibilità».

Il report della società mette insieme alcune informazioni già note. In India c’è già una indagine in corso sulle ramificazioni offshore del gruppo. Tanto che il responsabile finanziario di Adani group, Jugeshinder Singh, ha definito il report «una combinazione dannosa di disinformazione selettiva e accuse stantie, prive di fondamento e screditate». Tuttavia, il rapporto frutto di due anni di ricerche, aggiunge dati completamente nuovi. Ci sono le informazioni complete delle società create alle Mauritius, scambi di email con ex contabili, persino ricerche sul campo e testimonianze fotografiche dalle presunte sedi delle imprese da cui partono i soldi trasferiti, edifici fatiscenti o nessuna prova di attività.

Per esempio emerge come una delle entità formalmente registrata alle Mauritius, che ha prestato un miliardo di dollari a una filiale di una delle società dell’impero, la Adani Power, ha sede in un appartamento agli Emirati e mostra attività quasi nulla. Oppure che il revisore di due grosse società del gruppo come Adani Enterprises e Adani Total Gas sia una società che non ha nemmeno un sito web e appena undici dipendenti, mentre la sola Adani Enterprises ha 156 filiali.

C’è del marcio a Wall Street

Proprio Adani Enterprises ieri doveva aprire la sottoscrizione di azioni per attirare nuovi investitori, motivo per cui il gruppo indiano accusa Hindenburg di speculazione. Ma la società di Anderson dichiara apertamente di vendere allo scoperto titoli delle aziende di cui indaga manipolazioni e truffe – «Abbiamo assunto una posizione corta nelle società del gruppo Adani tramite obbligazioni negoziate negli Stati Uniti e strumenti derivati non negoziati in India», in questo caso.

E dichiara anche, più furbescamente, che non si tratta di raccomandazioni di investimento. Siamo nel campo di quelli che negli Stati Uniti vengono chiamati investitori attivisti, capaci di unire l’utile al dilettevole, se così si può dire: la crociata etica in nome della trasparenza di mercato va di pari passo ai guadagni fatti con mosse intelligenti e conseguenti proprio sui mercati e con strategie ad alto impatto mediatico.

Il rapporto sul gruppo indiano era stato annunciato su Twitter come «la più grande truffa al mondo», ma se ha avuto così tanto riscontro ed effetto è anche perché in passato le indagini di Anderson si sono dimostrate solide: nel 2020 un’inchiesta sulla società di veicoli elettrici Nikola, che aveva siglato un accordo con General Motors, ha portato alle dimissioni e all’incriminazione per frode del suo presidente. Hindenburg si avvale di consulenze esterne, come quella con la società di software finanziario FactSet, dove Anderson in passato ha lavorato.

Nel 2021 dichiarava ancora appena cinque dipendenti, ma dal caso Nikola ha acquisito autorevolezza a livello globale. Ed è la sua sfida, un mix di retorica del Davide contro Golia e di competenza finanziaria, la storia nella storia.

La ricerca finanziaria di maggior impatto, è la tesi della società, risulta dalla scoperta di «informazioni difficili da trovare da fonti atipiche» e quindi Hindenburg cerca dichiaratamente il marcio dei mercati finanziari, irregolarità contabili, operazioni con parti correlate non dichiarate e via dicendo. Il suo nome viene dal dirigibile tedesco gonfiato con idrogeno infiammabile, che nel 1937 prese fuoco bruciando 35 delle 97 persone che aveva a bordo: «un disastro causato dall’uomo e totalmente evitabile», si legge sul suo sito, come i tanti avvenuti a Wall Street e dintorni.

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