Ai sindacati che ha visto a porte chiuse in mattinata, il premier Mario Draghi ha sottolineato che «questo non è il momento del conflitto». Né col governo, né con Confindustria.

Il premier ha riproposto la formula del «patto sociale» con cui aveva inaugurato il suo esecutivo. In conferenza stampa ha mandato un avvertimento anche nell’altra direzione, verso Confindustria, sulla necessità di adeguare i salari: «Ci sono contratti nazionali scaduti da tre anni, alcuni da nove».

L’ultima volta che il premier aveva incontrato i rappresentanti delle organizzazioni sindacali stava per annunciare il decreto bollette, ma ai sindacati non ne aveva fatto parola. L’umore non era stato dei migliori. Ora il metodo – lo riconosce anche Maurizio Landini, il più critico tra i leader sindacali – è cambiato.

Nell’incontro di un’ora coi segretari di Cgil, Cisl e Uil, Draghi si è soffermato sul fatto che l’attuale sistema di contrattazione non è in grado di tutelare i salari dall’aumento dei prezzi. Ha promesso un altro incontro per discutere le misure urgenti «per mitigare effetti per l’aumento del prezzo dell’energia» da inserire nel decreto previsto entro la fine del mese.

Soprattutto ha proposto un confronto più ampio, a partire da settembre, su legge di Bilancio, Pnrr, politiche industriali nella transizione ecologica – il piano per l’automotive finora ignorato – ed energia. I sindacati hanno chiesto e ottenuto quello sul precariato.

Il premier ha garantito che il decreto estivo sarà «corposo» e che interverrà con misure sulle accise e sulle bollette, in maniera generalizzata e anche in proporzione al reddito. Tutelerà i salari e anche le pensioni: lo ha sottolineato più volte perché i sindacati intendano. Riserbo, però, sul resto: dalle risorse alla tassazione degli extra profitti a un primo intervento sulla decontribuzione, chieste dai sindacati.

Metodo e merito

Landini ha lasciato l’incontro con parole dure: «C’è un cambio nel metodo. Nel merito non abbiamo risposte». Uno dei pochi punti è la proposta sul salario minimo, illustrata dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Non una soglia fissa, come da idea del M5s, ma una retribuzione minima legata al contratto maggiormente diffuso, comparto per comparto: un modo per tutelare la contrattazione collettiva.

«Un punto di forza del nostro paese», ha detto il premier, offrendo una sponda alle organizzazioni sindacali maggiori sul tema caro della rappresentanza. Draghi ha affrontato per la prima volta la questione dei lavoratori con contratti scaduti, dai 6 agli 8 milioni nei servizi e nel commercio, sottolineando che ci sono casi in cui i bassi salari non sono legati alla produttività, una ovvietà raramente affermata così chiaramente.

L’idea dell’esecutivo è quello di proporre un sistema di contrattazione a premialità crescente per incentivare le imprese ai rinnovi: «Noi tutti, governo e parti sociali dobbiamo muoverci per tutelarli».

In attesa di capire come andrà il confronto con gli industriali, il secondo punto fermo di Draghi è che le risorse vanno trovate nello spazio della finanza pubblica. No allo scostamento di bilancio chiesto dai partiti – Lega e Cinque stelle – e dai sindacati, in primis la Uil di Pierpaolo Bombardieri.

E no anche all’utilizzo dei frutti della lotta all’evasione fiscale in anticipo, con buona pace delle proposte del Partito democratico. Ne dovrà tenere conto anche il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, il più positivo sull’incontro, che vuole portare al tavolo della legge di Bilancio il superamento della legge Fornero.

Anche perché la stella polare dell’autunno resta il taglio del cuneo fiscale, su cui un accordo ancora non c’è. Ieri con perfetto tempismo Giorgia Meloni, intervistata dal quotidiano della Confindustria, spiegava che la linea di Fratelli d’Italia è proprio quella di Confindustria.

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