Quattro società escluse dai campionati per mancanza di requisiti più una quinta che si è chiamata fuori per tornarsene nella comfort zone del calcio dilettantistico. Il bollettino estivo della mortalità in Lega Pro arriva puntuale come l’Overshoot Day e ci ricorda quanto il calcio professionistico di questo paese continui a vivere al di sopra delle proprie possibilità.

Di tanta assenza di sostenibilità la terza serie della piramide calcistica nazionale continua a essere il punto più caldo della crisi, tanto da ritrovarsi nel mirino del presidente Figc, Gabriele Gravina, come l’elemento da sacrificare nel disegno di riforma di cui si chiacchiera da settimane. Per adesso ci si limita a alcune considerazioni, partendo dai nomi delle società cancellate che si aggiungono a una sterminato Spoon River. Due fra questi inducono a riflettere sulla sostenibilità delle dinamiche di crescita che un club deve affrontare e sulla successiva capacità di riassorbire il declassamento. Perché questo è il nodo irrisolto del calcio professionistico italiano: crescere è difficile però esaltante, ma tornare indietro è spesso letale. Come del resto ha dimostrato anche il Chievo in Serie B.

Preferiamo tornare in D

Partiamo dalla società che ha rinunciato alle categorie professionistiche nonostante vi fosse appena riapprodata, il Gozzano. Espressione di una cittadina del novarese, la società rossoblu fondata nel 1921 ha festeggiato degnamente quest’anno il centenario con la promozione dalla Serie D, facendo ritorno in Lega Pro a un solo anno dalla retrocessione.

Ma la sua dirigenza si è concessa giusto il tempo dei festeggiamenti per poi decidere di non iscrivere la squadra al campionato di Serie C. Meglio ritornarsene in D, azzerando i sacrifici spesi per vincere un campionato e chiedendo l’iscrizione in sovrannumero. Regolarmente concessa. Per la terza categoria del calcio professionistico italiano si tratta di uno schiaffo clamoroso. Ma incassato con la faccia di gomma di sempre.

Il musicista italo-argentino

Delle 5 società di cui era stata proposta l’esclusione per inadempienze amministrative è riuscita a salvarsi soltanto la Paganese. Per le altre 4 non c’è stato alcunché da fare. Si tratta di nomi importanti e non soltanto per la categoria. Soprattutto c’è che in qualche caso non siamo nemmeno davanti alla prima esclusione.

Per la Casertana si tratta del terzo stop dopo quelli del 1993 e del 2005. Il verdetto negativo della Covisoc sui conti della società rossoblu è stato confermato dal Collegio di Garanzia Coni e la successiva richiesta di sospensiva d’urgenza depositata presso il Tar del Lazio è stata rigettata. Dal canto suo la Sambenedettese è al quinto fallimento (ma uno di questi, nel 2006, non comportò il declassamento) e deve ripartire dai dilettanti. L’ultimo schianto è giunto sotto la proprietà di Domenico Serafino, musicista calabrese che ha radicato le proprie attività economiche e artistiche in Argentina. Proprietario anche del Bangor City, squadra che milita nella Serie B gallese (livello tecnico equiparabile a quello di un campionato Uisp), Serafino ha riempito la gloriosa Samb di argentini e ha fatto valere anche nel calcio le relazioni col paese d’adozione. Una partnership con l’Estudiantes de La Plata è stata conclusa tra dicembre e gennaio scorsi, successivamente propagandata dalla Lega Pro come un segno di internazionalizzazione. In quei giorni la Samb affondava già nei debiti ma per il presidente della Lega, Francesco Ghirelli, contava di vendersi un presunto successo.

In Serie A negli anni Dieci

Più clamore di tutte destano le esclusioni di Novara e Carpi, due società che negli anni Dieci si sono affacciate in Serie A per un campionato a testa: il Novara nel 2011-12 e il Carpi nel 2015-16.

Con riferimento alla società emiliana rimane nella storia la telefonata in cui il presidente della Lazio, Claudio Lotito, descriveva come un’ipotesi negativa il suo arrivo in Serie A perché il campionato avrebbe perso appeal internazionale. Di sicuro c’è che tanto il Carpi quanto il Novara, alla lunga, hanno pagato l’incapacità di ridimensionarsi dopo avere toccato il livello massimo del calcio nazionale. Soprattutto fa sensazione che il Novara, in questi anni, abbia pagato agli agenti cifre esorbitanti in commissioni e intermediazioni. I dati pubblicati ogni anno dalla Figc riferiscono che nei tre anni solari fra il 2018 e il 2020 la società piemontese ha speso 1.143.774,12 euro. Cifre assolutamente fuori scala per la Lega Pro. Correvano verso il dissesto ma i soldi per gli intermediari li trovavano.

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