Sebbene nel mondo prevalga il caos economico, qualcosa negli equilibri internazionali e nel delicato rapporto tra capitale, lavoro e Stato sta cambiando. Quanto sta accadendo non è un accidente della storia economica, bensì l’inevitabile declino di un modello di governo del sistema internazionale che, necessariamente, dovrà fare i conti con l’attuale divisione di potere tra lavoro, capitale e Stato come agente economico.

Il governo dell’economia ha attraversato numerose stagioni: è passato dall’economia classica all’economia di mercato neoclassica, all’economia liberale keynesiana, all’economia del benessere, fino a quella della cosiddetta globalizzazione. I modelli di governo di riferimento sono almeno due: quello rooseveltiano (1930-1980) e quello reaganiano-thatcheriano (1981-2008). Dopo il 2008 il sistema economico non ha più avuto un modello di riferimento e ha cercato di barcamenarsi tra piccole e grandi contraddizioni sistemiche.

Tutti gli economisti pensavano che, dopo la crisi dei subprime (2008), qualcosa sarebbe cambiato, ma le speranze sono precipitate in meri accorgimenti, più o meno efficaci, sul modello reaganiano-thatcheriano. Nascondere sotto il tappeto le grandi contraddizioni sistemiche ha solo ritardato l’inevitabile, ossia la necessità di disegnare un equilibrio superiore tra capitale, lavoro e Stato e tra economie emergenti che ormai non possono più definirsi tali.

Nulla sarà più come prima

I dazi di Trump rappresentano il detonatore della crisi sistemica degli Stati Uniti e della necessità per Cina ed Europa di assumere un ruolo nell’attuale regionalizzazione dell’economia internazionale. Non si tratta di difendere la libera circolazione di merci e capitali, né il dollaro come moneta di riferimento mondiale, bensì di governare la regionalizzazione del sistema economico, evitando di scatenare guerre commerciali; sostanzialmente, occorre abbandonare la crescita economica fondata sulle esportazioni, trascurando la domanda interna che, teoricamente, dovrebbe tornare a essere il motore della crescita.

Si tratta di restituire potere contrattuale al lavoro per garantire salari più elevati, di assegnare allo Stato il ruolo di governo e di sostegno del sistema economico, accompagnato da un sistema fiscale adeguato, capace di trovare nuovi ed efficaci presupposti d’imposta.

Serve un’Europa responsabile

Il richiamo principale è rivolto all’Europa, che non dispone di un bilancio pubblico, di una politica fiscale, né di una politica economica; Cina e Stati Uniti, a loro volta, dovrebbero impegnarsi a trovare un equilibrio economico coerente con l’attuale divisione internazionale del capitale, del lavoro e della gestione delle controversie internazionali.

I dazi di Trump sollevano un tema di estrema delicatezza. Gli Stati Uniti, favoriti anche dal ruolo del dollaro come moneta di riserva, hanno assorbito la produzione mondiale di beni e servizi provenienti da paesi terzi (Cina ed Europa), spesso sfruttando forme di dumping economico e sociale (si pensi al basso costo del gas russo o al costo del lavoro cinese), mentre l’avanzo commerciale di Europa e Cina veniva reindirizzato a sostenere la finanza e il debito statunitense. È stato un gioco non propriamente a somma zero, ma che ha funzionato per molti anni.

Questo paradigma presupponeva una determinata divisione economica internazionale, ma l’attuale livello dei deficit gemelli statunitensi (deficit pubblico e disavanzo commerciale) costituisce un vincolo strutturale dalle forti implicazioni sociali. Una parte fondamentale dello stato sociale statunitense è legata a filo doppio all’andamento dei titoli di borsa; un problema enorme che il governo federale deve risolvere, ma che rappresenta anche un monito per tutti quei paesi europei che vorrebbero affiancare assicurazioni private (previdenza e sanità) allo stato sociale pubblico. Quanto sta accadendo, in realtà, era prevedibile. La globalizzazione è entrata in crisi già nel 2008, ma è stato con il Covid (2020) che ne sono emersi tutti i limiti, così come con l’inizio della guerra in Ucraina; catene del valore troppo lunghe non erano e non sono più ammissibili. È necessario accorciarle per rendere più sicura e resiliente la produzione industriale e la struttura economica nel suo complesso.

La veloce regionalizzazione del sistema economico internazionale era inevitabile, e sperare di far crescere il Pil attraverso le esportazioni (Cina ed Europa) è tecnicamente impossibile. Lo stile di Trump è insopportabile per la storia cinese ed europea, ma stiamo facendo la storia, ed è il momento di impegnarsi a costruire le istituzioni dell’economia politica, evitando pregiudizi. Il multilateralismo economico sembrerebbe essere il nuovo orizzonte, ma va regolamentato. Gli Stati Uniti sono deboli e spaventati, sebbene facciano fatica a rinunciare ai privilegi degli ultimi sessant’anni; tuttavia, così come l’Inghilterra ha ceduto lo scettro del potere agli Stati Uniti, allo stesso modo Cina ed Europa devono oggi condividere questa nuova e inedita fase della storia del capitalismo mondiale.

© Riproduzione riservata