Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha più volte ricordato che in epoca di pandemia non era il tempo di «prendere», ossia di aumentare le tasse, ma quello di «dare», incrementando la spesa pubblica con ristori, sussidi, incentivi, investimenti e quant’altro.

Implicita in questa affermazione era la speranza che la crescita dell’economia sarebbe stata robusta ed avrebbe fornito gettito fiscale aggiuntivo per compensare la crescita della spesa.

Ma con lo scoppio della guerra in Ucraina e con le prospettive di una fase di stagflazione, se si vuole continuare a dare, penso che ormai sia tornato anche il tempo del prendere.

Gli ultimi provvedimenti volti a compensare parzialmente gli effetti del rincaro dell’energia sono stati fatti dal Governo a bilancio invariato, ciò che ha significato che ci siamo mangiati gli effetti sulla finanza pubblica del miglioramento dell’economia.

In altre parole, il rapporto tra disavanzo pubblico e Pil nel 2022 sarebbe stato più basso di quello previsto a bilancio, grazie alla ripresa del Pil più forte del previsto nel 2021.

Con le misure volte a compensare parte degli aumenti del prezzo dell’energia, il governo ha riportato in alto il disavanzo pubblico in valore assoluto, facendolo tornare, in rapporto al Pil, al livello previsto quando si stimava un Pil più basso. Abbiamo usato il “tesoretto” della ripresa, per usare un gergo ormai un po’ stantio.

Crescita lenta

Tutto legittimo, certo, ma la crescita attesa per il 2022 sarà minore del previsto e l’Italia ha un debito troppo elevato, sicché sarebbe logico che si pensasse anche a come finanziare eventuali nuovi bisogni di spesa pubblica, tanto più che sono attesi a breve anche aumenti dei tassi di interesse negli Usa che finiranno per ripercuotersi sull’Europa.

Ma, si dirà, l’urgenza di operare per evitare il peso del rincaro dell’energia non lasciava altra scelta. Ed è qui che occorre pensare se non sia arrivato il tempo di rivedere la massima del dare senza prendere.

Che sia stato giusto evitare rincari di tasse durante la pandemia, è condivisibile, ma ora il Pil italiano è tornato ai livelli precedenti alla pandemia, le previsioni per il futuro sono mutate e quindi occorrerebbe riprendere a ragionare diversamente.

Poiché la guerra scatenata dalla Russia imporrà nuovi interventi pubblici e poiché molte attività produttive e molte famiglie ancora soffrono dei riflessi della pandemia, appare necessario continuare a dare per sostenere specifici settori.

Ma contemporaneamente ci sono famiglie e imprese che hanno sofferto meno della pandemia, alcune hanno accumulato risparmio aggiuntivo o fatto profitti non trascurabili, altre continuano impunemente ad evadere le imposte.

Se si tratta di aiutare chi soffre sarebbe lecito prendere anche da quanti hanno avuto la ventura di essere stati risparmiati, meno colpiti o hanno eluso il sistema fiscale.

L’uso della leva fiscale non può essere messo da parte a priori, tanto più che esistono aree di evasione diffusa che potrebbero essere illuminate se si facesse un buon ricorso alle banche dati, come in tutti i paesi sviluppati.

Spostare la tassazione

Inoltre, se si spostasse parte della tassazione dalle persone fisiche alla casa (meno Irpef e più Imu abolendo le esenzioni), non ci sarebbero aggravi d’imposta per chi paga correttamente le tasse, mentre si ridurrebbe l’area dell’evasione dato che è impossibile evadere le tasse sulla casa anche per quanti evadono quelle sul reddito.

Poiché è da ritenere che nel prossimo futuro sarà necessario ancora far ricorso alla spesa pubblica per sostenere quanti sono in sofferenza, è tempo di pensare anche a come raccogliere le risorse necessarie per evitare di trovarci di fronte a un debito pubblico incontrollabile.

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