La sentenza "non definitiva" (n. 13434) con cui il Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) per il Lazio ha chiesto qualche giorno fa l'intervento della Corte di Giustizia europea rischia di essere una “bomba” per le vicende che da quattro anni vedono protagonista Autostrade per l'Italia (Aspi).

Si profila la concreta possibilità che la revoca della concessione, esclusa dai governi Conte e Draghi come "sanzione" per il crollo del ponte Morandi e la morte di 43 persone, venga inflitta ad Aspi dal giudice amministrativo proprio adesso che la concessionaria non è più controllata da Atlantia (la finanziaria controllata dalla famiglia Benetton) bensì dalla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp).

A conferma della delicatezza della situazione c'è la prontezza con cui l’Avvocatura dello Stato ha già impugnato la sentenza dinanzi al Consiglio di Stato appellandosi a una questione di "legittimazione attiva" di Adusbef, Codacons e Associazione utenti autostrade, le tre associazioni dei consumatori che hanno firmato il ricorso su cui il Tar si è pronunciato.

La posta in gioco è certificata da Giacomo Aiello e Giancarlo Caseli, i due avvocati dello stato che hanno firmato il ricorso: «Ricorre un pregiudizio grave ed irreparabile connesso con l’incertezza circa la piena legittimità del rapporto concessorio ad oggi intercorrente tra l’Amministrazione e Aspi, sulla cui base è assicurato alla generalità degli utenti il servizio autostradale sui quasi tremila km della rete assentita in concessione».

Se il Consiglio di Stato desse ragione sul punto specifico al governo, la sentenza-bomba sarebbe disinnescata a monte. Con buona pace delle istanze di trasparenza sulla vicenda.

La sentenza riguarda una richiesta di annullamento di tutti gli atti amministrativi con cui il governo Draghi ha chiuso la procedura di contestazione nei riguardi di Aspi per grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale.

I fatti

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Il 16 agosto 2018, due giorni dopo il crollo del ponte Morandi, il ministero delle Infrastrutture, attraverso la Direzione generale di vigilanza sulle concessionarie autostradali, ha avviato nei confronti di Aspi la contestazione di grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale.

Nel giugno 2019, un Gruppo di Lavoro interistituzionale ha stabilito che sussistesse il grave inadempimento e ha rimesso ogni valutazione alle amministrazioni coinvolte, rilevando tuttavia che dalla risoluzione contrattuale sarebbero derivati pesanti oneri finanziari per lo stato, nonché «potenziali rischi di contenzioso» e «ricadute operative».

Nel luglio 2020 Aspi ha avanzato una «proposta di soluzione negoziale» che prevedeva tra le altre cose: «un intervento finanziario compensativo non remunerato in tariffa per 3.400 milioni di euro»; «impegni volti, tra l’altro, ad assicurare un considerevole aumento degli standard di sicurezza della rete autostradale concessa»; la disponibilità, d’intesa con l’azionista di controllo, a un «complessivo riassetto societario, con il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti  e di investitori dalla stessa graditi», per il trasferimento del controllo della stessa Aspi.

Sulla base della proposta di Aspi è stato firmato firmato il 14 ottobre 2021 un accordo transattivo tra il ministero delle Infrastrutture e Aspi che ha previsto la prosecuzione della gestione da parte della concessionaria dopo una rinegoziazione della convenzione.

Il riassetto societario previsto nell’accordo è stato ultimato il 5 maggio 2022, con la vendita da parte di Atlantia dell’88 per cento di Aspi a una holding di cui Cassa Depositi e Prestiti Equity detiene il 51 per cento e due fondi esteri - Macquarie e Blackstone – il 24,5 per cento ciascuno.

La mancanza di una procedura a evidenza pubblica

Le criticità in punto di diritto, afferma il Tar, risiedono nella circostanza che la modifica della convenzione originaria e il riassetto societario di Aspi, con l’entrata nell’azionariato di Cdp e dei due fondi, avrebbero richiesto di valutare preventivamente se non ricorresse l'obbligo di ricorrere a una procedura di evidenza pubblica, cioè a una gara trasparente, per il riaffidamento della concessione.

Ma di tale valutazione non c’è traccia. Ciò potrebbe essere in violazione della direttiva europea 2014/23 (art. 43) in tema di “aggiudicazione dei contratti di concessione”.

La direttiva europea prevede che una nuova procedura a evidenza pubblica per riassegnare la concessione possa essere evitata quando la necessità di modifica della convenzione sia determinata da circostanze imprevedibili e comunque la modifica non alteri la natura generale della concessione.

Secondo il Tar non poteva considerarsi circostanza imprevedibile «una condotta inadempiente suscettibile di incidere sulla sicurezza stradale o, addirittura, di determinare (…) la verificazione di un evento tragico» come il crollo del ponte Morandi e il decesso di chi passava in quel momento. Né è stata fatta alcuna verifica circa il fatto che le modificazioni oggettive e soggettive intervenute nella concessione non ne alterassero la natura».

Quindi, evidentemente, non ricorrevano le cause di esonero dallo svolgimento di una gara. Invece la concessione è rimasta ad Aspi o, da un altro punto di vista, è passata di mano senza gara attraverso il cambio di proprietà di Aspi.

L’affidabilità di Aspi

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Nella procedura riguardante Aspi non c’è traccia nemmeno di una valutazione circa l’effettiva affidabilità del concessionario, autore di grave inadempimento, e anche questa mancanza potrebbe contrastare con il diritto comunitario. Come risulta dalla deliberazione n. 2/2022 della Corte dei Conti, uno dei motivi per cui non è stata risolta la convenzione autostradale è rappresentato dalla «modifica della struttura sociale di Aspi», finalizzata proprio alla «necessità di recuperare l’affidabilità e la fiducia nei confronti del concessionario».

La riorganizzazione societaria avrebbe realizzato «una generale operazione di self cleaning», vale a dire un’operazione di “ravvedimento”, prevista dalla direttiva 2014/24/UE (art. 57).

In pratica Aspi sarebbe tornata affidabile cambiando il proprio azionista di controllo, come se l'affidabilità non risiedesse nella società concessionaria ma nel suo proprietario.

Ma, afferma il Tar, non si rinviene nella procedura seguita dal governo una valutazione in concreto circa «la caduta di fiducia inevitabilmente determinatasi per effetto della responsabilità manutentiva posta a base del procedimento di contestazione, indipendentemente dalla decisione finale di definire tale procedimento in maniera bonaria».

La necessità di tale valutazione si evince anche dalla sentenza (n. 168/2020) nella quale la Corte Costituzionale ha sottolineato come il crollo del Ponte Morandi, «causando ben 43 vittime, ha aperto una ferita nel rapporto di fiducia che non può mancare tra i consociati e lo stesso apparato pubblico, cui è affidata la cura di beni primari tra i quali, in primo luogo, la salute e l’incolumità».

Secondo il Tar, è singolare che – nonostante la pronuncia della Corte Costituzionale – Aspi sia stata ritenuta «inaffidabile per la ricostruzione del Ponte Morandi e, all’opposto, affidabile per la (prosecuzione della) gestione dell’intera infrastruttura in concessione».

Pertanto, conclude il tribunale, prima di adottare la soluzione relativa ad Aspi, lo Stato avrebbe dovuto considerare l’effettiva «affidabilità di un operatore che dovrebbe gestire una rete autostradale composta di 28 tratte per una estensione di circa 2850 km». E se si è inteso che l'affidabilità fosse restaurata dal cambio di azionista sorge il dubbio concreto che di fatto la concessione sia passata di mano, senza gara.

La questione circa l’eventuale violazione della direttiva europea è stata rimessa dal Tar alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Se la Corte ritenesse che la violazione sussiste, ne risulterebbe inficiata la rinegoziazione della convenzione autostradale, in quanto viziata da eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione.

In altre parole, crollerebbe il castello giuridico di carte che ha consentito la prosecuzione della gestione da parte di Aspi, "perdonata" solo perché ceduta, con una trattativa privata, da Atlantia a Cdp e soci.


 

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