È legittimo adottare misure a tutela del diritto d’autore e la relativa remunerazione degli editori da parte dei colossi dell’online. Questo in sintesi il parere espresso dall’Avvocato generale della Corte di Giustizia europea Maciej Szpunar che dà ragione all’Italia, e nel caso specifico all’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (Agcom), nella disputa con Meta sull’equo compenso.

La società di Mark Zuckerberg ha presentato ricorso contro il regolamento Agcom del 2022 – che per l’appunto impone alle piattaforme online di corrispondere un equo compenso per la diffusione dei contenuti giornalistici sulla base dei ricavi pubblicitari generati proprio in virtù dello “sfruttamento” degli stessi articoli – sostenendo che il provvedimento violerebbe la normativa europea sul diritto d’autore, la libertà di fare impresa nonché la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Un punto per gli editori

Il botta e risposta a colpi di carte bollate va avanti dal 2023 quando nel primo ricorso il Tar del Lazio nell’accogliere alcune delle istanze del colosso americano ha sospeso il regolamento – poi però ripristinato a marzo dello scorso anno dal Consiglio di Stato – sottoponendo il giudizio alla Corte di Giustizia europea.

«L’Avvocato generale della Corte Ue ritiene che la ratio della normativa europea sia quella di garantire una remunerazione agli editori, pertanto l'obbligo per le piattaforme di avviare trattative, di fornire determinate informazioni o di non ridurre la visibilità dei contenuti degli editori durante tali trattative è conforme alla Direttiva, così come il potere di Agcom di assistere le parti nel caso non riescano a giungere autonomamente a un accordo sul corrispettivo», commenta a Domani il commissario dell’Authority Massimiliano Capitanio.

E infatti nel parere dell’Avvocato su legge che «misure quali l'obbligo per i prestatori di servizi della società dell’informazione (alias piattaforme digitali come Meta e Google, ndr) di avviare trattative, di fornire determinate informazioni o di non ridurre la visibilità dei contenuti degli editori durante tali trattative non sono, in linea di principio, contrarie alla direttiva, in quanto non obbligano a concludere un contratto o ad effettuare un pagamento in assenza di un utilizzo effettivo o previsto».

Se è vero che il parere dell’Avvocato generale non vincola la decisione finale della Corte Ue si tratta comunque di un pronunciamento importante – di prassi questa tipologia di pronunciamenti salvo soprese vengono “recepiti” dalla Corte.

E se è altrettanto vero che l’Avvocato ha comunque evidenziato che va rispettata la libertà contrattuale fra le parti – «i poteri attribuiti all'Agcom sono ammissibili se rimangono in un quadro di assistenza e non privano le parti della loro libertà contrattuale» – il commissario Capitanio sottolinea che il segnale dato «è positivo a tutela del pluralismo e del giornalismo di qualità, che va appunto remunerato».

D’altro canto, come ricorda l’Avvocato Ue, le trasformazioni innescate dalla trasformazione digitale «hanno provocato un drastico calo delle entrate degli editori, mettendo a repentaglio il loro modello economico e il loro ruolo essenziale nelle società democratiche» e che la stessa Ue ha adottato iniziative legislative a tutela della proprietà intellettuale.

La questione dell’equo compenso

La disputa fra editori e piattaforme online va avanti da anni: gli editori nel rivendicare la “proprietà” degli articoli giornalistici, tutelati dalla normativa sul diritto d’autore, ritengono che gli stessi non possano essere diffusi attraverso piattaforme online (ad esempio Facebook) senza che si corrisponda un relativo compenso.

Dall’altro lato della barricata le piattaforme digitali sostengono di portare “click” agli editori, e di conseguenza anche eventuali introiti pubblicitari, proprio attraverso la diffusione degli stessi grazie ai “grandi numeri” frutto della “visibilità”.

Su questo fronte gli editori replicano che grazie agli articoli condivisi sulle piattaforme sono le stesse piattaforme a trarne vantaggio sul fronte del traffico, della proliferazione di commenti, generando valore per le piattaforme in termini di introiti legati alla pubblicità online.

Insomma, le posizioni sono totalmente divergenti. Google peraltro ha più volte minacciato il blocco della visualizzazione degli articoli giornalistici sul motore di ricerca, nella sezione Google News (emblematico il caso spagnolo, nel Paese gli editori sono stati “rimossi”) e sulla piattaforma Discover come “arma” contro le leggi sui compensi agli editori.

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