Il caldo è torrido tra i campi agricoli e nelle baracche del ghetto di Borgo Mezzanone. È qui, nel cuore della capitanata foggiana, che Esther Lynch, segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (Etuc), è venuta insieme a una numerosa delegazione in una missione organizzata dalla Flai Cgil. Una visita per vedere il volto dello sfruttamento in Europa e il fallimento di decenni di politiche migratorie emergenziali il cui risultato plastico è stato quello di facilitare le violazioni dei diritti delle persone.

Qual è la sua impressione su ciò che ha visto all’interno del ghetto?

Ho visto lo sfruttamento su scala industriale. Persone che lavorano tutto il giorno in condizioni estreme, senza essere pagate quanto spetta secondo i contratti collettivi. Lavorano sotto il sole, spesso senza protezione, e quando rientrano, non trovano nemmeno acqua corrente o servizi dignitosi. È una situazione che si ripete da anni, sotto gli occhi dello stato, che non interviene. Questo accade quando il governo guarda dall’altra parte. A livello europeo c’è un sovraccarico di norme in ambito economico, dirò ai legislatori di venire quei per vedere cosa accade quando l’intero modello di business è costruito sullo sfruttamento dei più vulnerabili.

Cosa l’ha colpita di più oggi?

La forza delle persone che vivono qui. Nonostante tutto, cercano di costruire una comunità, una strada, un barbiere, una vita. Ma la dignità non può essere lasciata solo alla forza individuale. Deve essere una scelta collettiva, politica. E l’Europa deve fare la sua parte.

Ha visto situazioni simili in altri paesi europei?

Ho visitato luoghi colpiti da gravi crisi, come la Turchia dopo il terremoto. Ma mai avevo visto un luogo dove lo sfruttamento del lavoro fosse così intimamente legato allo sfruttamento della vita quotidiana. Qui c’è un legame diretto tra condizioni abitative e condizioni lavorative, ed è inquietante.

Sono giorni di caldo estremo. Le temperature in Europa stanno salendo ogni anno. I lavoratori sono esposti. Cosa proponete?

Da oltre vent’anni in Europa le temperature aumentano costantemente. È scandaloso che nel 2025 non esistano ancora piani obbligatori per proteggere i lavoratori dal caldo. E questo non vale solo per chi lavora all’esterno di un ufficio. Ci sono dipendenti che muoiono dentro magazzini e stabilimenti ai quali viene chiesto di raggiungere gli obiettivi di produzione. Serve l’obbligo per i datori di lavoro di fornire acqua, pause e ombra, e una direttiva europea che fissi temperature massime oltre le quali si può interrompere il lavoro. Le persone devono avere la possibilità di fermarsi senza avere paura di perdere il lavoro o il salario.

Eppure il focus dei paesi membri dell’Ue, in questo momento storico, è quello di incrementare le spese militari fino al 5 per cento del Pil e soddisfare le richieste della Nato e del presidente degli Stati Uniti.

Se quei soldi verranno sottratti a sanità, scuole, infrastrutture e transizione verde sarà una catastrofe. Un’economia di guerra crea insicurezza, non stabilità. Siamo molto preoccupati da questo clima di paura che viene utilizzato per giustificare che siamo in un’economia di guerra. E molte decisioni, purtroppo, vengono prese senza un vero dibattito pubblico. E senza considerare le ricadute sui servizi pubblici se investiamo i soldi nell’industria militare.

Il discorso sembra già avviato però. Alcune aziende, come la Volkswagen, stanno pensando di cambiare i modelli produttivi verso la produzione militare per far fronte alla crisi dell’automotive.

Le transizioni industriali devono avvenire con i lavoratori, non sopra le loro teste. Serve una direttiva europea che garantisca il diritto alla partecipazione dei dipendenti nei processi di cambiamento. Credere che incrementare le spese militari al 5 per cento salverà posti di lavoro è sbagliato. Basta pensare che mancano tanti vigili del fuoco, ne abbiamo disperatamente bisogno in Europa, vista la quantità di incendi che affrontiamo ogni anno. E anche quest’estate lo dimostra. Non possiamo continuare a pagare dividendi agli azionisti invece di investire in forza lavoro. Dare più potere ai lavoratori sia a livello aziendale che di settore può essere una risposta.

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