Gli italiani tartassati da tasse e imposte? Sì ma una sparuta percentuale che sulla carta appartiene ancora al ceto medio e rientra prevalentemente nella categoria dei lavoratori dipendenti: il carico fiscale, quello “pesante”, di fatto riguarda appena il 27,41% dei contribuenti, quelli con redditi da 29mila euro a cui fa capo il 76,87% di tutta l’Irpef.

Di contro la maggior parte dei contribuenti, ossia il 72,59% che rientra nella fascia al di sotto dei 29mila euro di reddito, o non paga affatto o paga talmente poco da contribuire solo per un quarto (il 23,13%) all’Irpef nazionale. I calcoli sono stati effettuati e messi nero su bianco nell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2025 a cura del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali sui dati diffusi dal ministero dell’Economia e dall’Agenzia delle entrate relativamente alle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2024 e dunque relative all’anno di imposta 2023 (ed elaborate dalla pubblica amministrazione a maggio di quest’anno).

Seconde case, auto di lusso e barche

Ma secondo il Centro studi i conti non tornano e basta analizzare il “patrimonio” in capo agli italiani per farsi un’idea del sommerso, un’economia parallela che continua a farsi strada in barba ai proclami sulla lotta all’evasione fiscale.

Ammontano a 500mila le famiglie con un patrimonio finanziario di oltre 500mila euro, in circolazione ci sono 2,4 milioni di autovetture di grossa cilindrata e sono oltre 80mila le barche iscritte nei registri degli uffici marittimi (oltre il 60% delle quali con più di dieci metri di lunghezza).

E ancora: 7 milioni le famiglie proprietarie di seconde case, 1 milione i contribuenti che dichiarano meno di 10mila euro annui, ma che possiedono più di un immobile e 1,5 milioni gli italiani che pernottano in alberghi di lusso.

E se è vero che nell’era post Covid l’economia “ufficiale” ha recuperato terreno, riducendo la porzione della cosiddetta shadow economy, economia non osservata in cui rientra il reddito non dichiarato frutto del lavoro nero ma anche quello derivante da attività illegali (traffico di droga, prostituzione e contrabbando di sigarette), «in valore assoluto l’economia non osservata si è ridotta in misura piuttosto contenuta, restando strutturalmente significativa», evidenziano gli autori dell’Osservatorio nel citare uno studio del Parlamento Europeo del 2022 secondo cui Grecia, Italia e Belgio sono i paesi Ue in cui si registra la maggiore incidenza della shadow economy sul Pil e non a caso sono anche i Paesi con il più alto debito pubblico.

I condoni sono controproducenti

Non sono bastati strumenti come la fatturazione elettronica, lo split payment e il reverse charge in materia di Iva a migliorare lo scenario: chi evade evade a prescindere e non c’è strumento tecnologico o fiscale che sia riuscito a far invertire il trend in maniera sostanziale. Per non parlare di condoni tombali, rottamazione delle cartelle esattoriali, pace fiscale e altre misure annunciate e attivate nel corso degli anni per tentare di convincere gli evasori a regolarizzare la loro posizione: dal 2000 ad oggi sono state varate 14 sanatorie fiscali, in pratica una ogni due anni.

Penoso il confronto con gli altri Paesi analizzato nello studio: in Germania appena due condoni (nel 2004 e nel 2009) ma per favorire il rimpatrio di capitali depositati all'estero, Francia e Spagna hanno accelerato sulla compliance ossia sull’adeguamento spontaneo agli obblighi fiscali, i Paesi bassi non hanno mai varato condoni fiscali generalizzati e in Svezia non sono documentati condoni fiscali di rilievo.

«In Italia il sistematico ricorse alle diverse forme di sanatorie fiscali, sebbene talvolta presentato come strumento per far emergere base imponibile e aumentare le entrate a breve termine, si rivela in realtà un potente driver dell'evasione fiscale – si legge nel documento dell’Osservatorio –. Questo perché crea un meccanismo perverso che mina la fiducia nello Stato e altera la percezione del rischio da parte degli evasori. Se lo Stato offre regolarmente la possibilità di mettersi in regola a condizioni agevolate (sconti su sanzioni e interessi, rateizzazioni lunghe, condoni), l'incentivo a dichiarare correttamente fin dall'inizio diminuisce drasticamente. In altre parole, le continue sanatorie trasmettono l'idea che l'evasione sia un rischio calcolabile e, in fondo, gestibile. Si abbassa così la percezione della probabilità di essere scoperti e delle relative conseguenze».

L’anomalia italiana

E ci sono altre “variabili” elencate dettagliatamente nello studio che rendono l’Italia terra di evasione o elusione per eccellenza, fra cui: una percentuale di lavoratori autonomi significativamente più alta rispetto alla media europea che rende difficili le attività di accertamento; un elevato tasso di disoccupazione giovanile e femminile che costringe di fatto queste categorie ad accettare condizioni di lavoro irregolari, senza contratto, con retribuzioni basse e in assenza di tutele; un welfare debole, in assenza di un "cuscinetto" statale, l'unica alternativa per molti diventa il lavoro in nero o l'attività informale; la mancanza di obblighi o incentivi all'uso di pagamenti elettronici e la scarsa interoperabilità fra le banche dati delle pubbliche amministrazioni che dunque non si “parlano” rendendo difficile individuare anomalie o incongruenze per stanare gli evasori.

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