«Grazie Giancarlo». Chissà se anche ieri, dopo il voto del Parlamento europeo, il presidente dell’Anfia Paolo Scudieri avrà avuto voglia di ripetere al ministro Giorgetti il ringraziamento che, con quel tono così confidenziale, gli aveva riservato in pubblico durante l’assembla delle imprese italiane dell’automotive. Il 31 maggio, a Firenze, Scudieri aveva premesso: «Lasciatemi ora ringraziare il ministro Giorgetti per l’intensità delle sue battaglie per la nostra filiera, sia in Italia che a Bruxelles, dove, insieme al ministro Cingolani, sta portando da mesi possibili soluzioni alternative alla schizofrenia mono-tecnologica proposta dalla Commissione». Ma non è ancdata secondo i piani, alòmeno per ora.

La lobby delle auto dei maggiori paesi produttori (Francia, Germania e Italia) non ce l’ha fatta e il risultato è stato che il Parlamento europeo ha approvato con una maggioranza piuttosto significativa di 339 a 249 la proposta della Commissione di bloccare la vendite di auto con motore a scoppio dal 2035. Si tratta di una parte fondamentale del pacchetto Fit for 55 (Pronti per il 55) che ha l'obiettivo di tagliare le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) e raggiungere la neutralità climatica nel 2050.

I parlamentari avevano davanti una bilancia: su un piatto c’è la salute del pianeta e dei cittadini europei. Il trasporto stradale è responsabile di circa un quinto delle emissioni totali di CO2 nell'Ue e negli ultimi tre decenni l'unico settore che ha aumentato le emissioni di gas serra è stato quello dei trasporti, con una crescita del 33,5 per cento. Inoltre al traffico è attribuito il 45% delle emissioni di ossidi di azoto in Europa che provocano il decesso anticipato di circa 70 mila persone ogni anno.

Più in generale, l’inquinamento atmosferico (provocato anche da riscaldamento, industrie e allevamenti) è la causa di 400 mila morti premature nel continente. Dove spicca per alta concentrazione di smog la Pianura Padana.

Sull’altro piatto c’è un’industria fondamentale per l’economia europea che a parole è favorevole al Green deal, le case automobilistiche hanno annunciato di voler smettere di produrre vetture endotermiche anche prima del 2035, ma allo stesso tempo non digeriscono che venga imposto un blocco alle vendite di motori tradizionali dal 2035.

«È una posizione comprensibile», commenta Dario Duse, managing director della società di consulenza globale AlixPartners, «le case europee sono spinte ad accelerare una transizione complessa e costosa a cui si sono aggiunti una serie di shock: il Covid, la carenza di chip, la guerra in Ucraina con lo stop ai cablaggi, l’impennata dei prezzi delle materie prime, nuovi lockdown in Cina, che ha conquistato una posizione di privilegio nell’elettrificazione come ad esempio nelle batterie»

Chi si opponeva

A remare contro le proposte della Commissione sono stati in particolare i paesi produttori, come Francia Germania e Italia. Il 29 ottobre scorso i il ministro Giancarlo Giorgetti e il collega francese Bruno Le Maire si sono incontrati e hanno confermato l’opportunità di proporre alla Commissione europea una revisione del pacchetto per tenere conto sia delle effetti sull’industria sia quelli sociali. L’Anfia, l’associazione della filiera italiana dell’auto, sostiene che nel nostro paese sarebbero a rischio 73 mila posti di lavoro, la metà degli addetti del settore.

Del resto, oltre il 70 per cento dei fornitori italiani sono posizionati sul comparto dei motori a benzina e diesel e non in quelli elettrici. Quello che però non dicono gli imprenditori del settore è che l’elettrificazione dei trasporti potrebbe creare decine di migliaia di posti di lavoro: Luca De Meo, ceo della Renault, ha dichiarato ieri che in Francia se ne potrebbero creare 500 mila. E poi nel resto del mondo si continueranno a vendere motori a scoppio ancora per un bel po’: il picco della produzione mondiale non è stato ancora raggiunto e dovrebbe arrivare tra il 2025 e il 2026.

Il sì del Parlamento europeo non bloccherà del tutto i tentativi per ammorbidire la misura: i singoli paesi possono ancora proporre delle modifiche. Magari per non considerare le emissioni «tank to wheel», cioè dal serbatoio alla ruota, che vedono l’elettrico l’unica tecnologia a zero emissioni, ma piuttosto «well to wheel», cioè dal pozzo alla ruota, in modo da inserire tra le fonti a zero emissioni anche i carburanti sintetici (per ora costosissimi) o l’idrogeno (caro e complicato). La battaglia non è finita.

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