Dieci anni fa è avvenuta la liberalizzazione dei bus con cui oggi possiamo viaggiare a poco prezzo su e giù per l’Italia. Un cambiamento normativo che ha innescato un cambiamento profondo in un mercato prima quasi invisibile e marginale.

Fino al 2013 i bus operavano in un regime di concessione, cioè una singola azienda deteneva un diritto esclusivo, ad esempio tra una città del Sud e Roma. Inoltre, le concessioni in essere solo molto raramente “duplicavano” la ferrovia, che aveva una specie di prelazione sul mercato. Dal 2014 alle concessioni si sono sostituite le autorizzazioni, che non sono più esclusive e possono essere rilasciate su qualunque tratta in Italia. Ora più aziende possono servire le stesse città e fare concorrenza diretta alla ferrovia, dentro al paese e verso l’estero.

Questo mercato ha un’altra particolarità: a differenza del trasporto regionale e delle ferrovie, le autolinee non ricevono contributi dallo stato, né prima della liberalizzazione né dopo. Devono dunque, come il trasporto aereo, coprire i loro costi solo con le tariffe e dunque sono particolarmente attente alla domanda, ma allo stesso tempo non hanno obblighi di servizio pubblico.

Più o meno negli stessi anni anche Germania e Francia hanno liberalizzato le loro autolinee in maniera simile, e una decina di anni prima lo stesso avevano fatto Svezia e Regno Unito. La liberalizzazione in Germania è stata fulminea e profonda. Il paese praticamente non aveva autolinee e in pochi mesi si ritrova con moltissime aziende, piccole e dinamiche, che cominciano ad aprire connessioni dove prima esistevano solo treni.

Flixbus

Nei primi magmatici anni un’azienda cresce più velocemente delle altre grazie a un modello organizzativo completamente diverso: Flixbus, oggi diventata un colosso continentale presente in 40 paesi con migliaia di autobus e varie linee ferroviarie in Germania.

L’idea di Flixbus è costruire un marchio commerciale forte e offrire una rete enorme e qualitativamente omogenea, senza possedere autobus, ma solo “federando” aziende partner che mettono autista, veicolo e manutenzione. Flixbus da parte sua mette la pianificazione, la commercializzazione, il servizio clienti e anche la gestione burocratica delle autorizzazioni.

Il modello, che prevede anche la condivisione del rischio commerciale, funziona, e l’azienda si allarga rapidamente. I prezzi sono bassi e aggressivi, ma non si può parlare di un servizio low-cost come fu un decennio prima nel trasporto aereo: i bus costano certamente meno dei treni, ma non si rinuncia alla cura del passeggero, alla qualità dei mezzi, ai servizi a bordo, ai biglietti rimborsabili.

Il caso italiano

La storia dell’Italia è un po’ diversa dal resto dell’Europa Occidentale. A differenza della Germania e di altri paesi, la liberalizzazione non è stato un goal a porta vuota perché qui esisteva un gran numero di aziende storiche, con i loro affezionati clienti e con modelli di business già piuttosto efficaci.

Si tratta quasi sempre di aziende di piccola e media dimensione, basate nel Centro e nel Sud, perché lì le concessioni servivano a supplire a trasporti ferroviari storicamente più scarsi. Flixbus dunque cresce rapidamente al Nord, dove non aveva praticamente concorrenti, ma a sud deve vedersela con chi già c’era.

Oggi, dieci anni dopo, molte di quelle aziende sono ancora lì, sono cresciute e si sono adattate, ma ce l’hanno fatta ad adattarsi al nuovo mercato, mentre altre sono uscite o sono entrate nell’orbita Flixbus. Ancora più interessante, sono anche nate aziende nuove, alcune piccole e una molto grande, oggi principale competitor nazionale di Flixbus: Itabus, poi entrate nell’orbita di Italo e oggi sul podio delle aziende nazionali.

Nel complesso, un decennio di liberalizzazione con molti aspetti positivi: più offerta di trasporto pubblico, prezzi più bassi del treno, passeggeri in crescita, meno viaggi in auto. Un settore industriale maturo che si adatta e resiste, senza essere spazzato via dall’”invasore straniero”. Non è sempre successo così e non era affatto ovvio.

Criticità

Qualche ombra, che è anche un monito per il futuro, e qualche indicazione per le amministrazioni per meglio cogliere le opportunità per turismo e mobilità interna. Innanzitutto la burocrazia, con un processo autorizzativo che resta barocco e insensato, basato su plichi di carte quando il pianeta va verso la digitalizzazione. Uno strazio per le aziende, soprattutto quelle piccole, ma anche indirettamente un costo che i passeggeri si trovano nel biglietto. Altra zona d’ombra le autostazioni.

È incomprensibile, ma in molte città italiane i comuni non hanno saputo offrire a turisti e viaggiatori in attesa sotto il sole niente di meglio che un muretto di cemento e un palo di ferro. Poche le autostazioni, e spesso inadeguate perché pensate per il trasporto regionale, e in qualche caso – recente quello di Lampugnano a Milano – seri problemi di sicurezza che le aziende non possono affrontare direttamente e che dovrebbe essere piuttosto garantito dalle forze dell’ordine e dai comuni.

Terza minaccia, questa volta continentale, la mancanza di guidatori, a cui non si è ancora trovato un rimedio strutturale.

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