La decisione del governo Meloni di intitolare il ministero che si occupa della scuola “Ministero dell’Istruzione e del Merito” ha fatto polemica. In teoria, chi non è favorevole a premiare chi lavora di più ed è più bravo? Il concetto di merito, però, si sta rivelando sempre di più un falso mito, sulla scorta delle critiche pluridecennali da parte di accademici e società civile.

Chi scrive ricopre posizioni ritenute di successo. Andrea Roventini è professore ordinario in una prestigiosa Scuola Superiore Universitaria, il Sant’Anna di Pisa che si prefigge di valorizzare il merito e il riconoscimento del talento. Stefano Ungaro è ricercatore senior alla Banca di Francia, l’equivalente transalpino di Bankitalia. Posizioni che nella visione meramente “meritocratica” abbiamo giustamente guadagnato, superando diversi concorsi competitivi in Italia e all’estero, studiando e lavorando duramente. Ma sappiamo bene quanto a portarci al “successo” non sia stato solo il nostro merito, ma un insieme di condizioni iniziali, di incontri fortunati, il caso.

Classe media

Veniamo da famiglie non ricche, ma di classe media, che ci hanno permesso di concentrarci sugli studi. Famiglie in cui proseguire gli studi a livello universitario era considerato normale anche se i nostri genitori non lo avevano fatto. Veniamo da due regioni – la Lombardia e l’Emilia Romagna – dove abbiamo potuto frequentare ottime scuole pubbliche, ben finanziate e che ci hanno per questo fornito opportunità di crescita. Per esempio, Roventini è ragioniere, ma pur non frequentando il liceo ha ottenuto un’ottima formazione in italiano, inglese e matematica. Ha poi ottenuto la laurea in un’ottima università pubblica. Ungaro, che ha frequentato la magistrale della Bocconi grazie a una borsa di studio, ha poi perfezionato gli studi in Francia grazie al fatto che proprio in quel periodo si stava costituendo un gruppo di ricerca che lavorava precisamente sui temi di suo interesse scientifico.

Come mostrato dalla ricerca di uno degli autori di questo articolo, la situazione italiana è contraddistinta da grandi disuguaglianze, in termini geografici, patrimoniali, generazionali e di genere, e quindi di condizioni di partenza. E le disuguaglianze sono ereditarie : il rapporto Caritas 2022 su povertà ed esclusione sociale mostra che quasi sei persone su dieci vivono una condizione di precarietà economica in continuità con la propria famiglia di origine. Diverse ricerche mostrano inoltre che la bassa istruzione dei genitori spesso si riproduce in quella dei figli, con dispersione e abbandono scolastico precoce, e conseguente intrappolamento in “lavori poveri”. In una situazione simile, è difficile parlare di merito e di meritocrazia.

Stati Uniti

Anche gli altri Paesi occidentali non brillano. Uno studio del National Bureau of Economic Research del 2017 mostra, ad esempio, che negli Stati Uniti i ragazzi le cui famiglie appartengono all’un per cento più ricco della popolazione hanno una probabilità 77 volte maggiore di frequentare una delle dodici università più importanti rispetto a coloro che vengono dal 20 per cento più povero della popolazione. Questo in un Paese in cui il principale fattore che determina il reddito di una persona è quello dei suoi genitori, e una buona istruzione è l’unica condizione di uscita dalla trappola della povertà. Gli Stati Uniti hanno cessato di essere la terra delle opportunità e sono intrappolati nella meritocrazia, parafrasando il titolo del libro di Markovits.

Le Grandes Ecoles

In Europa non va di certo meglio. In Francia, ad esempio, per ricoprire una posizione dirigenziale è quasi obbligatorio aver frequentato una Grande Ecole. Le Grandes Ecoles sono scuole di élite a cui si accede dopo concorsi estremamente competitivi. Uno studio recente dell’Istituto di Politiche Pubbliche di Parigi mostra che il 50% degli studenti delle grandes écoles (Sciences Po, Scuola Normale, ENA, Politecnico) vengono dall’8% dei licei francesi, che per la maggior parte si trovano a Parigi e sono privati. Accedere a questi licei è possibile solo per ragazzi provenienti da famiglie agiate, che riescono a pagare alte rette o a trasferirsi in quartieri dove vivere è costosissimo.

Ed è così che un’istituzione originariamente creata per selezionare e formare una nuova classe dirigente repubblicana sulla sola base del merito, in contrasto all’ancien régime monarchico basato su nobiltà e censo, si è trasformata in un dispositivo di riproduzione dell’élite. Le Grandes Ecoles sono frequentate prevalentemente dai figli dei ricchi, perpetuando così le élite, economiche, politiche, culturali. Non a caso, il maggior fattore di successo per essere ammessi a una Grande Ecole è che un genitore abbia a sua volta frequentato una Grande Ecole.

Carte truccate

Le stesse Grandes Ecoles si stanno accorgendo che il merito non sta funzionando e le carte sono truccate a sfavore di chi proviene da famiglie povere, con poca cultura e da aree meno sviluppate. Sciences Po, ad esempio, ha lanciato nel 2001 il progetto “Conventions Education Prioritaire”, per riservare una quota di accesso a studenti provenienti da licei in zone socialmente sfavorite. In Italia, la Scuola Superiore Sant’Anna con il progetto ME.MO cerca di sostenere l’orientamento verso la scelta universitaria di studentesse e studenti di alto merito provenienti da contesti socio economici fragili.

Naturalmente, sono solo i primi passi da percorrere per evitare che il merito rimanga una parola svuotata di significato o, peggio che legittimi le disuguaglianze. Anziché interventi di marketing di bassa lega come la goffa aggiunta della parola “Merito” al titolo del Ministero dell’Istruzione, lo stato deve farsi carico di dare a tutti le stesse opportunità, impedendo che studentesse e studenti siano lasciati indietro dal nostro sistema d’istruzione. Purtroppo, non si è ancora dato pieno compimento all’articolo 34 della Costituzione: «i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», che purtroppo rimane un mero auspicio.

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