Che cosa ci hanno guadagnato gli italiani con la fusione tra Ferrovie dello stato e Anas? Zero. Nel comunicato del 29 dicembre 2017 con cui veniva presentato il matrimonio si diceva: «È stato stimato che la sola gestione integrata delle infrastrutture produrrà in dieci anni risparmi operativi non inferiori a 400 milioni di euro. Ciò sarà possibile grazie alla razionalizzazione dei costi diretti (ad esempio il coordinamento degli interventi manutentivi e la gestione dei rischi idrogeologici e sismici) e indiretti con riduzione dei costi di gestione e sinergie nelle politiche di manutenzione delle infrastrutture». A distanza di quaranta mesi quelle stime che promettevano vigorosi benefici per i bilanci delle due aziende pubbliche, e quindi in ultima battuta per le tasche dei cittadini, si sono rivelate una pia illusione.

Il fallimento è stato ammesso da una fonte che più autorevole e ufficiale non si potrebbe: Massimo Simonini, l'amministratore delegato di Anas, l'azienda che avrebbe dovuto trarre massimo vantaggio dall'accorpamento e che più aveva premuto perché tale operazione venisse fatta in fretta. A distanza di quasi tre anni e mezzo dal trionfante comunicato, Simonini in una lettera dal titolo Benefici attesi dalle sinergie tra Anas e il gruppo Fs datata 4 marzo e indirizzata a Pietro Baratono, capo dipartimento delle infrastrutture del ministero dei Trasporti (ora Mims, ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili) ha dovuto riconoscere una verità amara: finora quelle sinergie non hanno prodotto alcun risultato tangibile. Zero. C'è scritto proprio zero nella tabella che correda la paginetta della lettera di Simonini: zero nel 2020 e zero anche nel 2021. Per sperare di vedere qualche timido risparmio bisognerà aspettare fino al 2022: 7 milioni di euro. L'anno successivo i risparmi dovrebbero essere 10 milioni, 12 milioni nel 2024, poi 53 nel 2025 e 53,7 dal 2026 in avanti.

Previsioni realistiche?

Ammesso e non concesso che d'ora in poi le cose vadano davvero come sperato dall'amministratore Anas, i risparmi sperati in un decennio raggiungeranno al massimo 188 milioni di euro circa, molto meno della metà di quanto era stato propagandato all'inizio. Che cosa è successo? E perché in futuro dovrebbe invece andare meglio? Probabilmente queste domande sono mal poste perché ce n'è un'altra che le precede e a cui nessuno ha nemmeno provato a dare una risposta. E cioè: ma perché mai fu fatta quella fusione, che bisogno c'era? Una delle possibili supposizioni è che si volesse aggirare la spending review superando i vincoli da essa imposti agli stipendi e alle consulenze.

Nella lettera al ministero Simonini fa un'altra ammissione imbarazzante per lui, la sua azienda e le Fs che sono l'altro partner di questa strampalata partita. L'amministratore Anas scrive che «il quadro delle sinergie» è un «percorso avviato a maggio 2020», cioè ventotto mesi dopo la partenza della fusione. Perché così tardi? La stessa domanda la pone anche il senatore di Forza Italia, Lucio Malan, in un'interrogazione rivolta al ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, e a quello dell'Economia e delle finanze, Daniele Franco. Alla luce del fallimento attuale Malan chiede ai ministri «se ritengono realistiche le previsioni future di risparmio».

Nell'interrogazione Malan tocca un altro punto molto delicato: le manutenzioni. L'amministratore Fs di allora, Renato Mazzoncini, aveva enfatizzato proprio questo aspetto tra i benefici sicuri per i cittadini: partendo dal presupposto che «benefici e miglioramenti con il nuovo assetto industriale ci saranno anche per la manutenzione e gli standard di qualità e sicurezza della rete stradale... anche per la diagnostica predittiva», Mazzoncini assicurava che con la fusione «sarà possibile progettare, realizzare e gestire efficacemente il potenziamento e lo sviluppo integrato delle infrastrutture nazionali, ferroviarie e stradali con sinergie tecnologiche e economie di scala».

Manutenzioni scarse

Ma Malan ricorda i dati pubblicati da Domani alla fine di novembre 2020 e desunti da una lettera molto allarmata inviata all'Anas dall'Anac, l'autorità anti corruzione. Le ispezioni sui 15.031 ponti e viadotti di competenza Anas, ancora nel 2019 erano di oltre il 15 per cento inferiori a quelle minime previste; a Roma e nel Lazio meno della metà di quelle minime necessarie. Idem in Liguria. In Toscana e nelle Marche erano appena al 70 per cento, mentre Lombardia e Umbria «hanno registrato importanti carenze». Nel 2020 sono crollati due ponti Anas e nello stesso periodo l'amministratore dell'azienda delle strade si è fatto riconoscere un bonus di circa 90 mila euro per i buoni risultati raggiunti.

Sullo sfondo rimane irrisolta anche l'altra grande partita imbarazzante della fusione Anas-Fs, cioè la mancata svalutazione del patrimonio apportato dalla stessa Anas come dote per rendere l'operazione finanziariamente accettabile. Alla fine del 2017 gli azionisti delle Fs deliberarono un aumento di capitale del valore di 2 miliardi e 860 milioni di euro «mediante conferimento dell'intera partecipazione Anas detenuta dal ministero dell'economia e delle finanze». Quella cifra era però sovrastimata perché più della metà dell'importo (oltre 1 miliardo e mezzo di euro) era considerata frutto dell'allungamento della concessione statale ad Anas delle strade italiane dal 2032 al 2052. Allungamento mai perfezionato per evidenti profili di illegittimità comunitaria come ha più volte ribadito Pino Zingale, il magistrato della Corte dei conti all'interno dell'Anas.

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