Il destino dei 422 lavoratori dello stabilimento Gkn di Campi Bisenzio per cui decine di migliaia di persone sono scese in piazza sabato è stato segnato a Londra, tre anni fa.

Allora, dopo lunghe e turbolente trattative, i maggiori azionisti di Gkn, azienda britannica con 260 anni di storia, produzioni nel settore aerospaziale e dell’automotive, hanno accettato l’offerta di acquisizione di più di nove miliardi di euro di Melrose industries, fondo specializzato in ristrutturazioni aziendali.

Gkn registrava ricavi in calo da anni e gli azionisti non vedevano un ritorno soddisfacente del loro investimento.

Tra i maggiori soci di Gkn figuravano allora diversi fondi di investimento, primo fra tutti il fondo americano Blackrock, guidato da Larry Fink che in tutte le occasioni ufficiali, nelle lettere che ama indirizzare ad azionisti e amministratori delegati, inclusa quella di quest’anno, sottolinea sempre la necessità di investimenti a lungo termine per la creazione di valore durevole.

Allora, però, ai fondi di investimento è bastato che Melrose aumentasse il prezzo e, dopo aver rifiutato una prima offerta di circa 8 miliardi di euro, hanno accolto di buon grado la seconda.

Buy, improve, sell

Sugli obiettivi e sul modello di business di Melrose Industries non ci possono essere dubbi.

Il suo slogan è «Buy, improve, sell»: compra, migliora, vendi, dove migliora sta per riduci i costi delle aziende che acquisisci, riorganizzale, investi negli ambiti di produzione più profittevoli per arrivare a rivendere con il massimo profitto.

Anche l’orizzonte temporale di azione della compagnia è chiarissimo: la società che ha mantenuto per il maggior numero di anni nel suo portafoglio è stata rivenduta in sette anni.

Una delle sue operazioni più riuscite, l’acquisizione della azienda di tecnologie per la misurazione Elster, è durata meno di tre anni: comprata nel 2012, è stata rivenduta nel 2015 con un profitto netto di un miliardo di sterline.

Con queste premesse, la strada di Gkn, oltre 50mila dipendenti nel mondo e 6mila solo nel Regno Unito, si è giocata tutta tra marzo e aprile 2018.

Cioè tra il voto degli azionisti, il 52 per cento si è schierato a favore, e l’approvazione del governo britannico allora guidato dai conservatori di Theresa May.

I laburisti erano infatti schierati contro la società di ristrutturazione definita con la stampa «un estrattore di risorse a breve termine».

I sindacati sollevavano anche la questione della sicurezza nazionale, ottenendo l’appoggio anche di politici autorevoli come l’ex ministro della difesa di Margaret Thatcher, Lord Heseltine.

Le promesse

In quel mese Melrose Industries ha fatto alcune promesse: mantenere il quartier generale di Gkn nel Regno Unito, lo stesso livello di investimenti in ricerca e sviluppo e non vendere l’attività aerospaziale per cinque anni.

In una lettera destinata ai membri della commissione industria della Camera dei comuni e consultabile sul sito del parlamento britannico i manager scrivevano di voler «far ritornare Gkn ad essere una potenza della manifattura – competitiva a livello globale».

Questo però proseguendo nella strategia di sempre. Nel bilancio 2020 si legge: «Concentrarsi sulla redditività, sulla sostenibilità e sulla generazione di cassa operativa, non sulla crescita per amore della crescita».

“Pieno potenziale”

Per Gkn, la sua operazione più consistente per valore dell’investimento e dimensioni dell’acquisizione, Melrose Industries ha messo a punto un programma di trasformazione chiamato “Pieno potenziale” che, dice il bilancio 2020, ha già fruttato 81 milioni di euro di risparmi dei costi.

Il piano prevede investimenti sull’aerospazio e molto meno sull’automotive e infatti a gennaio 2021 l’azienda ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Birmingham che impiega oggi cinquecento lavoratori in produzioni molto simili a quelle di Campi Bisenzio.

Amara ironia, secondo quanto ha denunciato Des Quinn, responsabile nazionale del sindacato inglese Unite for automotive, al parlamento britannico che gli chiedeva conto della decisione di chiudere la fabbrica, l’amministratore delegato Simon Peckham ha fatto sapere che le produzioni di Birmingham sarebbero state spostate in Italia.

Ora sappiamo che non era vero. I lavoratori italiani hanno una sentenza in mano ma non molti altri strumenti per difendere il loro posto, quelli britannici a settembre hanno votato a schiacciante maggioranza, il 95 per cento, uno sciopero a difesa dei loro posti.

Entrambi, però, hanno di fronte una società che per esplicito modello di business ha come unico orizzonte il profitto a breve termine che si riversa direttamente nelle tasche dei manager.

Solo Peckham che nel 2020 si è ridotto il salario per via della pandemia a circa 700mila euro, tra retribuzione fissa e premi, ha in tasca azioni di Melrose per circa 35 milioni di euro.

 

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