«È complicato» è un modo elegante di giustificare la propria lentezza di fronte a una decisione da prendere. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha motivato così in un’intervista il crescente ritardo della riforma degli ammortizzatori sociali, pure annunciata con rulli di tamburo da tutti gli ultimi governi, e qualificata come assolutamente necessaria da quando è intervenuta la pandemia ad aggravare il disastro del mercato del lavoro. La faccenda è effettivamente complicatissima, deve tenere insieme l’estensione a tutti di cassa integrazione e sussidio di disoccupazione e le cosiddette politiche attive: ricollocamento e formazione. Ma l’inciampo è ormai evidente: una riforma efficace, in grado di irrobustire la protezione sociale, non potrà che costare svariati miliardi e il governo non ha ancora deciso che fare, anche se il premier Mario Draghi ha detto più volte che per lo stato adesso «non è il momento di chiedere ma di dare». Se Orlando aveva esordito dandosi quindici giorni di tempo per la riforma, adesso si parla di ottobre. Tanto che il leader della Cgil Maurizio Landini ha già fatto sapere che se slitta la riforma i sindacati pretendono che si prolunghi nella stessa misura anche il blocco dei licenziamenti, adesso in scadenza a fine giugno.

La promessa di Draghi

Draghi ha messo la riforma del sistema di protezione sociale al centro del suo discorso di insediamento al Senato, spiegando che quello attuale è servito nell’emergenza ma resta «squilibrato, non proteggendo a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi». Ma Orlando, a due mesi di distanza, mette le mani avanti: la riforma sarà fatta ma “a moduli”, cioè gradualmente, e con calma. L’obiettivo è inserire in autunno nella legge di Bilancio il fabbisogno finanziario per i prossimi anni. E qui viene il punto. Quanto costa estendere cassa integrazione e disoccupazione a chi non ce l’ha? L’unico riferimento esistente, il documento dei cinque consulenti incaricati dall’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, indica una cifra tra i 10 e i 20 miliardi all’anno. Orlando ora dice che quel documento è «condivisibile ma molto ambizioso», dove ambizioso significa costoso. «È la solita schizofrenia italiana, si vogliono tanto le riforme ma le si vuole a costo zero. A costo zero si fa solo maquillage», afferma Vito Pinto, giuslavorista dell’università di Bari, uno dei cinque consulenti di Catalfo.

Il provvedimento più “ambizioso” in quell’abbozzo di riforma è l’irrobustimento del sussidio di disoccupazione, la Naspi, che costerebbe da solo 10 miliardi di euro l’anno. Ed è l’unica misura che interessa a Confindustria, visto che è a carico dello stato, mentre estendere la cassa integrazione alle piccole e micro imprese comporterebbe un aumento dei contributi. I sindacati non sono entusiasti di cedere il loro potere (annidato nella ventina di “fondi bilaterali” che erogano le integrazioni salariali in caso di crisi) a un fondo unico che gestirebbe tutto centralmente sotto l’Inps. «Qui tutti vogliono la riforma ma nessuno vuole cambiare a casa sua», ha sibilato lo stesso Orlando alla fine dell’ultimo incontro. Ma la scelta è tutta sua: aumentare i contributi aumenterebbe il costo del lavoro e il cuneo fiscale, caricare il conto sullo stato farebbe aumentare il debito pubblico. Dario Guarascio, economista dell’università La Sapienza di Roma, un altro dei consulenti di Catalfo, non avrebbe dubbi: «Prima di dire che una riforma come questa, che serve anche a sostenere l’attuazione del Recovery plan, è troppo onerosa, bisognerebbe prima guardare cosa sta facendo negli Stati Uniti Joe Biden che ha messo sul piatto 2mila miliardi. Estendere le tutele significa ridurre l’incertezza del sistema economico, scongiurare il crollo della domanda aggregata, garantire la flessibilità necessaria alle imprese che devono ristrutturarsi, preservando il lavoro e le competenze accumulate senza scatenare altre emergenze sociali».

La mossa di Franceschini

Un’altra insidia per una impalcatura organica della riforma dei sussidi viene dal ministro della Cultura Dario Franceschini, del Pd come Orlando. Ha affidato al suo staff uno studio su nuove possibili forme di sussidi ai lavoratori intermittenti dello spettacolo che verrebbero coperti dall’allargamento della Naspi. Più che un riforma “modulare” si rischia di avere una riforma Arlecchino. Sarà per questo che Landini si è rivolto direttamente a Draghi. Landini si aspetta che il premier convochi i sindacati a giorni «per discutere di occupazione e investimenti», a partire dal Recovery plan e dal suo contesto sociale. Negli stessi giorni si dovrebbe riaprire al ministero del Lavoro il tavolo per la riforma degli ammortizzatori sociali. Sperando che i due tavoli si parlino.

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