C’è un tassello che manca nel piano che il Tesoro avrebbe messo a punto per risolvere l’annosa questione del Monte dei Paschi di Siena e che passa per l’ipotesi spezzatino anticipata diversi mesi fa su questo giornale. Il progetto descritto dal quotidiano La Stampa prevede che lo stato paghi tre volte (e per l’ennesima volta) anche per ridimensionare l’istituto di credito senese.

Widiba, la banca digitale del gruppo, infatti, sarebbe acquisita da Poste italiane, società quotata in Borsa, ma controllata per il 54 per cento dallo stato – il 35 per cento tramite Cassa depositi e prestiti e il 29 per cento tramite il ministero dell’Economia e delle finanze. Mediocredito centrale, istituto di credito guidato da Bernardo Mattarella e controllato da Invitalia, società in house del ministero dello sviluppo, farebbe la sua parte per gli sportelli del Mezzogiorno.

La “piccola Mps” con base in Toscana e nel centro Italia dovrebbe andare alla fondazione Mps, in cambio della rinuncia ai contenziosi legali e alle richieste di risarcimento miliardarie. Il resto sarebbe diviso dal resto del sistema del credito nell’usuale, ma in questo caso non così usuale, operazione di sistema. E tuttavia, secondo due diverse fonti che seguono la vicenda da vicino, della parte “toscana” dell’operazione, alla Fondazione senese nessuno sapeva nulla.

I conti senza la Fondazione

Il dialogo tra banca, con cui è in corso il contenzioso, e Fondazione si è interrotto mesi fa e non è ripreso. E al di là delle tecnicalità dell’operazione – che dovrebbe vedere il passaggio delle azioni dal Mef alla banca alla Fondazione, nessuno nell’attuale situazione, con i conti traballanti per cui l’istituto è stato anche inserito nella black list Consob, comprerebbe a scatola chiusa l’idea di caricarsi in spalla quella che sarebbe a tutti gli effetti una banca locale.

Insomma, il progetto sbandierato come il piano alternativo alla vendita di Mps alla Unicredit di Orcel, ha sempre lo stesso problema: non ha fatto i conti con il possibile acquirente. Altro tratto comune: ancora una volta il tassello che manca è quello su cui l’influenza di Roma è meno forte.

«Pier Carlo è lì»

Quasi sei mesi fa, a dicembre, negli incontri istituzionali ai massimi livelli riguardanti il dossier Mps, il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera dava quasi per fatta la soluzione Unicredit. In quegli incontri al ministero si spiegava che «Pier Carlo è lì» e che sarebbe bastato attendere la legge di bilancio e le agevolazioni alle fusioni bancarie per finalizzare il progetto. Come è noto, le cose sono andate molto diversamente.

Fattore Orcel

Sulla scrivania dell’amministratore delegato di Unicredit, Orcel, oggi non solo il dossier Siena non c’è, ma ci sono diverse opzioni ben più ambiziose. Non solo infatti si sta valutando la possibilità di una acquisizione di Banco Bpm, istituto che ha chiuso il 2020 con oltre 180 miliardi di raccolta diretta, ma si guarda anche con attenzione alla preda più contesa di sempre, le assicurazioni Generali, il cui appeal come sa bene Intesa San Paolo, è ancora più forte nel momento in cui la redditività delle banche continua a essere fonte di sofferenze (in tutti i sensi).

Ieri Credit Suisse ha alzato il rating di Unicredit a “outperform”, senza prendere in considerazione ipotesi di aggregazione e ha invece abbassato quello di Intesa San Paolo, valutando negativa l'esposizione della banca fondamentalmente concentrata all’interno dei confini nazionali. Un segnale in più per Unicredit per valutare bene le sue opzioni sia sul fronte del credito che su quello assicurativo, dopo che Generali nell’anno del Covid ha comunque registrato il migliore risultato operativo di sempre, seppure compensato da un vistoso calo degli utili.

Il cerino al Pd

Tramontata di fatto l’ipotesi Unicredit, perché allora pensare di poter avere ancora un acquirente a Siena come fa intendere quel progetto rivelato dalla stampa, senza nemmeno coinvolgere quel possibile acquirente?

La governance della Fondazione dipende dagli enti territoriali, il comune che dal 2018 è guidato da Luigi De Mossi e dalla prima amministrazione di centrodestra nella storia repubblicana, dalla provincia che resta in mano al Partito democratico e dalla regione dove Eugenio Giani si è insediato dopo una campagna elettorale in cui si è schierato apertamente e ripetutamente per un Monte dei Paschi banca pubblica e del territorio.

Una posizione che è certamente più facile da difendere se la banca pubblica è dello stato, rispetto all’ipotesi di una mini banca degli enti locali, di cui lo stesso Giani è rappresentante. Ma certamente se c’è un interlocutore del Ministero dell’economia è oggi il Partito democratico. Abbiate una banca, si potrebbe dire.

Ma il segretario democratico, Enrico Letta, non ha ancora nemmeno sciolto le riserve sulla sua candidatura. A Siena, infatti, a settembre si vota alle suppletive per sostituire l’ex ministro dell’economia Pier Carlo Padoan che ha lasciato il Senato dopo essere stato indicato come presidente allora in pectore di Unicredit. E Letta sa bene che quel seggio lo trasformerebbe, qualsiasi eventuale soluzione si trovasse, nel referente della crisi della banca.

 

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