Alla fine sono rientrati nel disegno di legge di bilancio i bonus per i lavoratori che decidono di non andare in pensione, nonostante abbiano raggiunto i requisiti per farlo.

Il governo ha previsto una decontribuzione pari al dieci per cento per chi sceglierà di rinviare il ritiro dal lavoro. Il leader della Lega Matteo Salvini ha ricordato che la prima volta furono introdotti con la riforma delle pensioni voluta dal ministro Roberto Maroni nel 2004.

Le indagini sugli effetti di quella misura però sconsiglierebbero di utilizzarla nel momento in cui l’Italia combatte contro lavoro povero, aumento dell’inflazione e disuguaglianza sociale crescente. Almeno se la norma fosse simile a quella voluta allora, e cioè una riduzione dei contributi da pagare in percentuale al reddito e quindi per definizione a vantaggio dei lavoratori con redditi più alti e con professioni migliori, che sono ovviamente anche coloro che sono più motivati a restare a lavoro e sui quali non avrebbe senso che lo stato spendesse soldi per incentivi.

Sopra i 70mila

Nel rapporto sullo stato socialepubblicato dall’Università Sapienza nel 2005 i bonus di allora, sono definiti senza mezzi termini «regressivi». La definizione è motivata da analisi e elaborazioni precise.

L’incremento percentuale di reddito netto derivante dall’erogazione di bonus, si legge nel rapporto, « è di poco superiore al 38 per cento per un lavoratore con retribuzione di 10mila euro, supera il 55 per cento per un livello di 100 mila euro e oltrepassa il sessanta per cento per individui con retribuzioni di 200 mila euro». E ancora: «Va rilevato che spesso gli individui più abbienti hanno una maggiore crescita salariale negli ultmi anni di carriera».

Nel primo anno di introduzione dei bonus, il 2004, meno del 10 per cento delle domande accolte proveniva da individui con reddito inferiore ai 20mila euro l’anno. Il 15 per cento, invece, erano lavoratori con redditi superiori ai 70mila euro. Di più, all’epoca il 30 per cento delle domande proveniva dai lavoratori dipendenti con redditi superiori ai 50 mila euro pari a meno del 5 per cento del totale.. Il 33 per cento veniva invece dai lavoratori con un reddito inferiore a 30 mila euro, che però rappresentavano l ’82 per cento del totale.

All’epoca il bonus era servito a indorare la pillola dell’aumento dell’età pensionabile: valeva un triennio fino allo scalone del 2007, ma in realtà aggravava la differenza: chi poteva andare già in pensione prima dello scalone veniva pagato, gli altri poi avevano requisiti anagrafici più stringenti.

Il governo Meloni ha di fronte un cortocircuito diverso ma altrettanto illogico, visto che la riforma Fornero è pienamente in vigore, stiamo per pagare lavoratori che vogliono lavorare oltre i 67 anni di età, limite alto, e quindi quelli in partenza più favoriti?

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