Quale manovra arriverà tra dieci giorni in Consiglio dei ministri, quella pensata dalla Lega che continua a giocare di anticipo parlando di reddito di cittadinanza, ma guardando in realtà alle pensioni e che ha un progetto di fatto parallelo a quello di Fratelli d’Italia, quella chiesta anche oggi da Confindustria con una riduzione forte sul cuneo fiscale che Meloni aveva fatto propria, o quale altra?

Il governo deve fare i conti con saldi molto chiari: 21 miliardi di deficit sono giustificabili a Bruxelles per affrontare la crisi, per il resto le risorse vanno trovate tagliando altre uscite, soprattutto in un momento in cui Giancarlo Giorgetti si deve accreditare a livello europeo, ripetendo la linea della prudenza sui conti pubblici e confermando la ratifica del Mes come il governo precedente, mentre si discutono dossier complessi come la riforma del Patto di stabilità. 

Il partito della pensione

Bonus, reddito, pensioni: il paese delle disparità di Meloni

Il partito di Matteo Salvini, però, incalza e in pochi giorni ha mostrato di avere in tasca quasi una manovra finanziaria parallela, con un solo obiettivo: replicare una misura acchiappa consenso come Quota 100, anche se mitigata. Il segretario leghista ha prima lanciato l’idea di una Quota 4, senza limiti di età: avrebbe permesso a una minoranza di andare in pensione con 41 anni di contributi per un costo di 4 miliardi e oltre l’anno. Poi è arrivata la frenata, l’ipotesi di un minimo di età a 61 anni ridurrebbe la platea a 90mila persone, a 63 sarebbero ancora meno. La ministra Marina Calderone ha dichiarato di stare discutendo con Meloni di flessibilità e la premier stessa domani vede oggi i sindacati che chiedono ormai da anni una riforma complessiva. A quel punto è entrato in campo  Claudio Durigon che di Quota 100 rivendica di essere il padre, e che ha presentato a mezzo stampa una riforma del reddito di cittadinanza non condivisa col partito della premier, ma che ha come primo obiettivo non tanto la riforma del reddito in sé ma la riduzione della spesa che la riforma porterebbe con sé, da indirizzare invece sulle pensioni anticipate. Stando alle stime di inizio 2022 dell’ufficio parlamentare di bilancio le domande per Quota 100 per l’anno n corso sarebbero arrivate a 80mila, quelle per Quota 102 con molte più condizionalità nei primi cinque mesi dell’anno non arrivavano a 4mila. 

Sia al ministero del Lavoro dove si discutono pensioni e reddito di cittadinanza, sia al ministero dell’Economia, la Lega però, occupa le caselle di sottosegretario,  FdI ha i viceministri. 

Flat tax

Il viceministro con delega al fisco, Maurizio Leo, responsabile economico di FdI, ha ricette compatibili con quelle leghiste e che puntano a superare i nove miliardi di incassi dalla tregua fiscale, nei fatti l’ipotesi in valutazione è una serie di piccoli condoni. Chi ha un reddito inferiore ai 15 mila euro pagherebbe solo un quinto del dovuto all’agenzia delle entrate. Chi ha il reddito superiore e qui parliamo della maggioranza, potrebbe vedersi ridurre il pagamento degli interessi dal 40 per cento al 5. E lo stesso potrebbe fare chi deve ancora ricevere la cartella esattoriale. 

Il forfait per gli autonomi, caro alla Lega, sarebbe a questo punto alzato a 85mila euro di reddito lordo, quando secondo i dati più aggiornati del ministero dell’Economia il reddito medio netto degli autonomi italiani è pari a 52.980 euro, più del doppio di quello dei dipendenti. Considerato che, secondo la relazione sull’evasione fiscale, l’attuale forfait ha portato a un addensamento delle partite Iva sotto la soglia dei 65mila euro, l’innalzamento potrebbe aumentare il gettito ma allo stesso tempo rischia di diminuire il reddito Irpef, già pericolosamente in discesa sempre secondo la relazione sull’evasione fiscale, perché aumenta la platea di chi trova vantaggioso il forfait. 

Anche Forza Italia, inoltre, chiede di tagliare le tasse: il capogruppo Giorgio Mulé ieri ha avanzato la sua richiesta di eliminare sugar tax e plastic tax. 

Di fronte a tutte queste richieste, il governo sta valutando come risposta una drastica riduzione delle detrazioni fiscali ammissibili.  Già il governo Draghi aveva imposto un taglio “progressivo” alle spese in detrazione, una selva difficile da contenere, facendole decrescere solo a partire dai 120mila euro di reddito, per un totale di una riduzione di spesa del 15 per cento. Allo stato attuale si contano spese in detrazione per un valore di 27,2 miliardi di euro. Il governo Meloni vorrebbe ridurle a tutti i contribuenti Irpef – gli autonomi che aderiscono al forfait non sono tenuti al tracciamento delle spese - a partire addirittura dalla soglia dei 60mila euro: un livello su cui lo stesso sottosegretario leghista Freni ha espresso dei dubbi. 

La promessa sul cuneo fiscale

Certamente Meloni vuole introdurre anche misure di bandiera del suo partito: dallo sconto per un anno sulle imposte di chi aumenta il proprio reddito, la cosiddetta flat tax incrementale, fino alla revisione del calcolo Isee: la viceministra al Lavoro Maria Teresa Bellucci è stata la prima firmataria nella scorsa legislatura della proposta di revisione del calcolo dell’Isee che prevede l’esclusione del calcolo della casa dal patrimonio, una misura a vantaggio dei proprietari immobiliari visto che nell’attuale Isee vengono già scomputate le rate dei mutui ancora da pagare.

Tuttavia, il governo Meloni non deve rispondere solo alle ambizioni della coalizione. Domani la premier incontrerà i sindacati – a cui di fronte al regalo del forfait per gli autonomi dovrà offrire misure per tutelare il salario dei dipendenti. E ha un conto aperto anche con il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che si è detto insoddisfatto dell’idea di destinare al taglio del cuneo fiscale solo i fondi ricavati dalla spending review dei ministeri, delineata per decreto nell’ultimo consiglio dei ministri.  «Dagli annunci che sono stati fatti, si presumono 4 miliardi in tre anni», ha detto il presidente degli industriali, «Noi dobbiamo fare un intervento shock, perché un intervento di pochi punti non serve. Bisogna avere il coraggio di fare un intervento di oltre il 5 punti di taglio». 

La richiesta è sempre 16 miliardi di euro a favore per due terzi dei lavoratori e un terzo delle imprese, una formula che Meloni aveva sposato in campagna elettorale. Sia lei che Salvini si giocano i voti ma in direzioni che non combaciano del tutto. 

© Riproduzione riservata