È una di quelle storie in cui tutto sembra coerente, tutto, tranne un episodio, un dettaglio che proprio non si incastra con tutto il resto. Come è possibile che un imprenditore come Urbano Cairo, attento anche alle spese per le donne delle pulizie, abbia deciso di giocarsi l’osso del collo sfidando il colosso dei colossi, il fondo dei fondi, Blackstone Group, sulla compravendita della sede di via Solferino decisa dai precedenti azionisti della Rcs?

La società editrice del Corriere della Sera ha appena annunciato il ricorso contro l’arbitrato che un mese e mezzo fa ha rigettato la sua causa dando ragione a Blackstone sulla proprietà dell’immobile. Ma ha incassato un punto non da poco in termini giudiziari: non è stata una lite temeraria. Alla corte di New York, che aveva sospeso ogni giudizio in attesa del pronunciamento dell’arbitro italiano e che Rcs non considera territorialmente competente, Blackstone ha depositato pochi giorni fa una richiesta danni di 600 milioni di dollari, 505 milioni di euro, metà indirizzata al presidente in persona e metà alla società. Duecentocinquanta milioni di euro dunque per l’azienda che al 31 marzo registrava un indebitamento netto finanziario complessivo di 198 milioni di euro e un patrimonio di circa 310.

Ma ci sono altre partite che vedono impegnata Rcs tra conti da far tornare e tempo da guadagnare. Alla Rcs periodici, il ramo d’azienda più sacrificato negli anni con la musica di fondo dei bonus elargiti ai manager, si è arrivati all’accordo sui prepensionamenti e si tratta su una cassa integrazione che potrebbe superare i 18 mesi. Il colpo più duro assestato per aggiustare i bilanci, mentre alla Gazzetta dello Sport stanno per firmare un accordo che si limita a dieci prepensionamenti e alla cassa integrazione tecnica, la stessa attivata nella casa madre del Corriere. Tutto motivato da esigenze di sviluppo tecnologico che permette le uscite anticipate per chi è a cinque anni dalla pensione e attività formativa per le competenze professionali. Il tutto mentre la società continua a distribuire dividendi, gli ultimi 15,5 milioni di euro due settimane prima della pronuncia dell’arbitro sul contenzioso milionario.

Con la firma degli accordi, prevista per la metà di luglio, la società potrà inserire nei conti semestrali al 30 giugno una situazione più chiara. All’attenzione degli uffici della Consob restano i mancati accantonamenti per la causa di Blackstone. Scelta legittima della società, ovviamente, ma su cui dopo gli ultimi sviluppi ci si attende la necessaria trasparenza nelle comunicazioni al mercato.

Sulla vicenda pesano molti punti interrogativi: a partire dalla manleva che il consiglio di amministrazione di Rcs ha dato a Cairo in una riunione di luglio 2020 caratterizzata da assenze pesantissime, da Marco Tronchetti Provera a Diego Della Valle, da Carlo Cimbri a Gaetano Micciché. I semi della tempesta di oggi risalgono alla stagione dello scontro tra l'amministratore delegato Pietro Scott Jovane, uomo di John Elkann e di quella Exor dove oggi siede come amministratore indipendente un manager Blackstone, e gli altri soci e il direttore Ferruccio de Bortoli. Una stagione in cui il banchiere Giovanni Bazoli, come testimoniano le carte dell’inchiesta su Ubi Banca, si preoccupava sopra ogni cosa allora di chi mettere alla guida del Corriere. Urbano Cairo in quella occasione confermò la regola che ha sempre governato le sue mosse imprenditoriali più eclatanti: proporsi come l’uomo che al momento giusto va a occupare caselle scomode e a mettere a posto i cocci.

A Milano Cairo è considerato una specie di parvenu, nel senso letterale del termine, imprenditore di successo ma non per questo meno indigesto alle grandi famiglie della finanza di rito ambrosiano. Silvio Berlusconi sta alla borghesia meneghina come la sua Milano due sta a Milano, città parallela fuori dal perimetro comunale, e Cairo, considerato un epigono di Berlusconi, ne è anche più distante.

L’allievo di Berlusconi

Cresciuto alla scuola di marketing più moderna del paese e forse del continente, Publitalia, la concessionaria pubblicitaria delle tv Mediaset, dove vigeva la regola berlusconiana del farsi concavi e convessi, manager alla Fininvest passato attraverso Tangentopoli con un patteggiamento per appropriazione indebita, fatture per operazioni inesistenti e falso in bilancio, diventa editore in proprio a metà anni Novanta, creando che tutt’oggi si può definire una sorta di penny press italiana, pubblicazioni popolari a prezzi molto bassi. Ma il vero salto lo fa nel 2013, quando si aggiudica a sorpresa niente meno che la concessione per le trasmissioni televisive di La7, che la Telecom non voleva più accollarsi.

Esattamente come è stato per il suo arrivo al Corriere, anche allora l’ingresso di Cairo risolveva molti problemi in un mercato televisivo – e quindi pubblicitario – segnato dal duopolio Rai Mediaset. Chi ha vissuto le stagioni di Roberto Colannino, Tronchetti Provera e Franco Bernabé, ricorda bene che Giovanni Stella, il manager “tagliatore di teste” che per conto di Bernabé portò avanti la ristrutturazione lacrime e sangue di La7, era pronto a vendere La7 a Discovery Channel: il pre-accordo era già firmato quando chiamò Bernabé con l’ordine di una trattativa in esclusiva con Cairo. Il patron della Cairo communications si comprò la rete per un milione di euro, con la garanzia di una ricapitalizzazione e il riconoscimento di un assegno di avviamento, che di fatto già erano una premessa del risanamento.

La cura applicata allora assomiglia molto alla terapia d’urto adottata dopo l’ingresso nel salotto milanese: revisione delle spese per i fornitori, anche l’ultimo della catena alimentare. Con La7 si cominciò dal bar per i rinfreschi, con il Corriere dall'agenzia viaggi interna, e poi taglio dei costi dai benefit fino all’ultimo compenso dei collaboratori. Le voci sulla sua capacità di ritardare i pagamenti ai fornitori sono un fiume carsico che arriva in superficie a intervalli regolari – la Fimi che ad aprile scorso lo accusò platealmente di non pagare i fornitori oggi rassicura che dopo pochi i mesi il conto è stato saldato. Sull’altro piatto della bilancia, tutti coloro che hanno lavorato con Cairo sottolineano il suo rispetto per gli equilibri interni alle sua azienda. L’uomo guarda ai soldi, da sempre, e snobba la prassi diffusa dello spoil system. Più che imporre i suoi uomini, trasforma in suoi quelli che già ci sono, con un presenzialismo ingombrante trasformato persino in gag televisiva, ma che ha il pregio di non produrre ribelli. A La7 ha confermato la leadership di Enrico Mentana con poche aggiunte e il rapporto con l’agente dei conduttori vip Bibi Ballandi, aggiungendo poche novità. Al Corriere, Luciano Fontana, il direttore che all’addio di Ferruccio de Bortoli era considerato un accidente temporaneo, si è rivelato più solido di altri.

I cocci che ha dovuto rimettere insieme dopo l’era di Scott Jovane sono tanti. Prima di tutto la vendita di alcuni periodici a una società appena costituita dal pubblicitario Bernardini de Pace, poi la cessione della sede storica di via Solferino, a cui si erano opposti subito i sindacati, così come il direttore di allora, de Bortoli, si era opposto alla generosa opera di distribuzione di bonus ai vertici dell’azienda in uno dei suoi momenti più difficili. Per non parlare dei rapporti tra i soci che non si possono non definire litigiosi.

Salvatore della patria?

Sciolto il patto di sindacato che teneva insieme i soci, gli equilibri sono esplosi e ancora una volta qualcuno ha alzato il telefono per suggerire che Cairo era la soluzione giusta. Su di lui ha puntato il grande creditore Intesa San Paolo che lo ha finanziato per l’operazione di acquisizione di Rcs, assistita legalmente proprio dallo studio Bonelli Erede che poi ha portato avanti per Cairo la causa contro Blackstone e ha ottenuto anche la nomina del suo presidente Stefano Simontacchi nel cda di Rcs. Nell’ultimo resoconto intermedio si sottolinea anche che la scelta di non prevedere accantonamenti per il pasticcio Blackstone è stata fatta sentendo i consulenti legali.

Ma in attesa dei nuovi annunci sulle trattative sindacali e di capire se con i conti di agosto cambierà qualcosa, si accumulano indiscrezioni sulla tensione negli uffici di Intesa e rumor su nuove cordate pronte a prendersi il Corriere. Di fronte all’incertezza bastano quelle per far volare il titolo in Borsa. Speculazioni, in tutti i sensi.

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