Mentre il ministero ventila una improponibile riforma della Sanità che crea scompiglio fra i medici di base, ci sono questioni di maggiore attualità per modernizzare e migliorare il Servizio sanitario nazionale. Anzi, servirebbe una riforma per stare al passo con la tecnologia già in uso dai dottori
Agli anziani piace andare dal medico di medicina generale e chiacchierare in attesa della visita. Vero o falso? L’ultimo rapporto Oasi realizzato dal Cergas Bocconi, che annualmente fotografa lo stato di salute del Servizio sanitario nazionale, contiene una ricerca su 16mila accessi ai numerosi servizi che offrono gli MMG, medici di medicina generale: diagnosticare, interpretare il referto di un esame, prescrivere un farmaco o un accertamento, dare consigli sugli stili di vita e di cura e via dicendo. Sono stati raccolti in tre province italiane - Lecco, Forlì e Scampia -, per rappresentare le abitudini dei cittadini e relativi camici bianchi al Nord, al Centro e al Sud. Da questa analisi emergono tre evidenze capaci di delineare le caratteristiche contemporanee delle cure primarie, opposte all’immaginario collettivo stratificatosi 30 anni fa.
E soprattutto, da questa analisi è possibile capire perché la riforma dei medici di base – da assumere alle dipendenze pubbliche, anziché lasciarli professionalmente liberi – è del tutto fuori dal tempo e lontana anni luce dalle esigenze dei cittadini e dei pazienti. Il ministro Schillaci deve farsene una ragione, la sanità necessita più modernità di quanto finora gli si è voluto concedere.
Il medico è connesso
La prima novità che viene da questa ricerca è che medici di famiglia rispondono a 50 richieste al giorno, ovvero lavorano molto. Il motivo è il prevalere dei cronici (40 per cento popolazione) e degli anziani non autosufficienti (6,5 per cento della popolazione). Per un medico con 1500 pazienti, significa avere in cura 600 cronici, di cui 95 non autosufficienti.
Il 70 per cento delle richieste dei pazienti arrivano da remoto, così come le risposte. I canali utilizzati sono i più diversi: WhatsApp, email, telefono alla segreteria o al medico stesso, APP di studio o del medico, Fse.
La significativa prevalenza di richieste e risposte da remoto è invariante all’età dei pazienti o dei medici o del contesto geografico: anche gli anziani, compresi quelli del sud, preferiscono essere serviti da remoto.
Del resto, guardiamo i film da remoto, così come compriamo oggetti su Amazon, commentiamo i risultati delle partire o delle elezioni su WhatsApp: perché dovrebbe essere diverso per il dialogo con il nostro medico di medicina generale?
Questo ci invita a rivedere il concetto di prossimità: non è più una categoria fisica, ma relazionale, che si nutre di rapidità e certezza della risposta, fiducia nell’interlocutore e stabilità della relazione, che arriva al telefono o su piattaforma digitale direttamente dove siamo (non necessariamente a casa, ma al lavoro o in viaggio).
La cura è virtuale
Il nostro primo luogo di cura è dove siamo ora, mediati dai nostri device, così come il negozio più vicino a casa si chiama Amazon, soprattutto se abito in un piccolo borgo decentrato di un’area interna. Questa evidenza può solo irrobustirsi nel tempo: che implicazioni di policy comporta? Innanzitutto, medici e pazienti devono essere aiutati dal Servizio Sanitario Nazionale a strutturare al meglio la relazione da remoto. Eccolo un tema da affrontare in un’eventuale riforma dei medici di base.
I MMG più generosi (e digitalmente ingenui) hanno privilegiato strumenti sincroni, come WhatsApp. Al terzo messaggio ricevuto all’ora di cena, mentre erano al ristorante il sabato sera con marito o moglie, hanno capito che così non era sostenibile. All’opposto occorre scegliere strumenti asincroni, capaci di centralizzare tutti i canali di arrivo delle richieste, per rispondere in modo ordinato nei tempi professionali concordati, generando un patto adulto con i propri iscritti (di giorno rispondo entro 4 ore, la sera rispondo la mattina presto successiva), che diventa lo standard atteso, che garantisce soddisfazione percepita.
Siccome il lavoro degli Mmg è soprattutto una attività desk, di studio dei referti clinici, di lettura delle cartelle dei pazienti, da incrociare con le loro richieste, siamo nel setting ideale per introdurre strumenti di supporto decisionali basati sull’intelligenza artificiale (clinical decision support systems: CDSS). Essi garantiscono terapie basate sulle migliori evidenze scientifiche disponibili, omogeneità dei comportamenti prescrittivi tra medici e tempi di risposta e di lavoro molto più rapidi per i dottori. Il punto è che il CDSS deve essere alimentato da una base di conoscenze (linee guida, pubblicazioni scientifiche internazionali) selezionate da qualcuno. Sarebbe importante che questo qualcuno fosse il Ssn e non altri, per tutelare gli interessi della comunità e dei professionisti. Ed eccolo qui un secondo tema utile da inserire nella riforma dei MMG. L’utilizzo di tecnologie di intelligenza artificiale nel servizio sanitario nazionale deve essere costruito insieme ai medici di medicina generale stessi e alle società scientifiche.
La valorizzazione del servizio di medicina generale a distanza rende più facile impostare sistemi di supporto all’aderenza alla terapia dei pazienti. Gli italiani, in media, sono aderenti alle terapie solo al 50 per cento (non prendiamo regolarmente il farmaco, non andiamo agli esami o alle visite con regolarità, non facciamo gli screening e le vaccinazioni coerenti con le nostre età). Un sistema basato soprattutto su dati di richieste e consumo dei pazienti, rende facile comprendere chi non è aderente e proattivamente “rincorrere” o sostenere i pazienti che non hanno la forza emotiva o cognitiva di seguire le terapie che garantiscono loro salute.
Il prevalere delle cure primarie da remoto mitiga di molto il problema delle aree interne, che non trovano oggi medici disponibili. Il problema risulta ridotto al 30 per cento delle prestazioni che si svolgono in presenza, filtrate da un triage a distanza, che restringe la necessità di disporre di professionisti fisicamente presenti in contesti a bassissima densità di popolazione a qualche mattina la settimana.
Il mondo non è più quello di Don Camillo e Peppone, dove piaceva discorre nelle sale di attesa: dovremmo aggiornare il dibattito sulla medicina generale alla contemporaneità.
Serve strutturare le cure primarie da remoto, introdurre AI a supporto delle decisioni cliniche, monitorare e aiutare l’aderenza alla terapia in coerenza ai bisogni di chi è indaffarato e lavora, all’anziano che ha difficoltà a uscire di casa o, al contrario, è sempre in giro in visita da diversi amici e parenti, ai genitori che non possono uscire se stanno accudendo un bambino malato. Queste sono le riforme di cui dovremmo discutere e non quelle all’ordine del giorno al ministero: il punto non è il se, ma il come impostare la medicina generale che lavora già per due terzi da remoto.
© Riproduzione riservata