È stata la viceministra dell’Economia, Laura Castelli, una volta rappresentante del Movimento 5 stelle nel palazzo in cui tutti i partiti vorrebbero mettere piede, a rappresentare ieri il governo nella gestione degli ordini del giorno presentati dal M5s sul Superbonus.

Un ruolo non semplice, considerato che il documento presentato da Giuseppe Conte al premier Mario Draghi, menzionava la risoluzione della questione Superbonus come «imprescindibile» per l’ex partito di Castelli, ora passata senza tentennamenti al partito di Luigi Di Maio di cui il marito è portavoce. Non semplice anche per i malumori che dal M5s si stanno accumulando nei confronti della poltrona che hanno perso all’interno del fortino del ministero dell’Economia e delle finanze.

Una richiesta su due

A nome del governo che il suo ex partito minaccia ancora di abbandonare, ieri Castelli ha dato parere favorevole a uno dei due ordini del giorno del Movimento. Quello più semplice da affrontare, che impegna il governo con una premessa fondamentale,cioè  la compatibilità a con le risorse disponibili, ad introdurre una norma ad hoc per fare in modo che professionisti e imprese edili interessati al credito di imposta legato al Superbonus possano optare per la liquidazione dell’imposta sul valore aggiunto. Un ramoscello d’ulivo che però non basta a risolvere la questione del mercato bloccato della cessione dei crediti.

L’ordine del giorno su cui il Movimento 5 stelle insiste da tempo e che prima era stato presentato – e bocciato  – sotto forma di emendamento chiede di togliere la responsabilità per eventuali irregolarità dei crediti di imposta a chi acquista i crediti da parte di banche e intermediari finanziari, in modo che le banche, che invece sono sottoposte a rigidi controlli, possano avere a chi vendere e i crediti si possano rimettere in circolo.

La proposta sconfessa la linea della circolare pubblicata poche settimane fa dalla agenzia delle Entrate che dovrebbe essere rivista. Il governo però ha chiesto al Movimento di declassare la richiesta a una raccomandazione, che vale ancora meno di un impegno su un ordine del giorno. Il primo firmatario, il capogruppo M5s in commissione attività produttive, Luca Sut, ha chiesto «una risposta immediata» sul punto da parte dell’esecutivo, risposta immediata che raramente l’esecutivo ha dato a partiti e alle parti sociali.

L’accentramento

Anche le proposte del segretario del Partito democratico Enrico Letta o del presidente della Commissione finanze Luigi Marattin di aumentare l’extra gettito rispetto a quello attualmente calcolato per finanziare il taglio al cuneo fiscale al momento sono state bocciate o non prese in considerazione dal governo.

Al ministero dell’Economia a collaborare col ministro Daniele Franco ci sono Federico Freni per la Lega, Alessandra Sartore per il Partito democratico, Maria Cecilia Guerra per Leu e Castelli che appunto è passata con Di Maio. Freni era in commissione a nome del governo nei giorni in cui la Lega faceva le barricate sulla timida operazione trasparenza sul catasto. Guerra ha dovuto ingoiare le norme annacquate sulla tassazione dei redditi da capitale che Leu non ha votato. Tutti sanno che le richieste che arrivano al ministero passano soprattutto per i capidelegazione dei partiti e non è detto nemmeno che vengano accontentate, visto il peso politico e istituzionale del ministro Franco, praticamente alter ego di Draghi.

Del resto, Conte è stato abbastanza furbo da inserire nel documento alcune richieste su cui in realtà il governo stava già lavorando in autonomia. Draghi ha convocato i sindacati il 12 luglio e sul tavolo, ci sarà il salario minimo, una delle tre misure, assieme al Superbonus e al reddito di cittadinanza che Draghi ha sempre difeso come principio, che il deputato grillino Luigi Gallo ieri definiva le tre fondamentali, già facendo una selezione delle nove richieste presentate da Conte.

Quello che è certo è che il governo non ha intenzione di anticipare a quest’estate l’assalto alla diligenza della legge di bilancio che sembra già essere il leit motif dei partiti. La legge di bilancio 2022 è già stata il risultato di un patchwork di misure per accontentare gli uni e gli altri e non si era nemmeno in vista di una campagna elettorale.

Ora che il 2023 si avvicina, l’autunno della Finanziaria sarà ancora più complesso con partiti più desirosi di rispondere a bisogni o desideri dell’elettorato. Il contesto attorno però è molto cambiato e al ministero non basta avere una presenza per incassare i risultati.

L’estate delle richieste

Tutti concordano sul fatto che la crisi sociale è la vera emergenza del paese. «Metà di questo paese non ce la fa più ad arrivare, non dico alla fine, ma a metà mese. Questo è il tema che abbiamo di fronte», ha dichiarato ieri il leader della Cgil Maurizio Landini chiedendo di aumentare il prelievo sugli extraprofitti delle imprese.

Il governo con le parti sociali ha lo stesso approccio, ascolta e poi decide autonomamente, se non ha già deciso. L’esecutivo, per esempio, ha già in programma un decreto oneroso per le imprese che dovrebbe essere licenziato questo mese. Per i prossimi mesi il fortino del Mef ha già deciso la rotta per arrivare in sicurezza alla Finanziaria.

 

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