Per ora sono d’accordo Stati Uniti, Italia, Francia, Germania, Canada, Giappone, e inoltre Londra dove oggi il G7 ha raggiunto l’intesa. Il prossimo passo sarà estendere il club dei consenzienti al G20, che si terrà a Venezia a luglio. La tassazione globale delle multinazionali non è più una vaga ambizione, come è sembrato in tutti questi anni: è dal 2013 che i negoziati erano insabbiati.

L’accordo

L’intesa siglata oggi dai sette ministri delle Finanze è basata su due pilastri. Il primo dice che le multinazionali con un margine di profitto di almeno il 10 per cento devono pagare le tasse nei paesi in cui operano, non solo in quelli nei quali stabiliscono il loro quartier generale. La tassa “segue” insomma i profitti, non le si sfugge mettendo la propria sede nel paese più vantaggioso sul piano fiscale. Il 20 per cento dei profitti superiori al 10 per cento sarà riallocato e soggetto a tassazione nei paesi coinvolti. Il secondo pilastro dell’accordo stabilisce anche un livello minimo di tassazione da adottare nei vari paesi, per evitare tassazioni (e competizioni) sleali; e fissa questa soglia minima al 15 per cento. Proprio questo 15 per cento è uno dei motivi per cui il piano è considerato non sufficientemente ambizioso: le spinte erano per elevare la soglia almeno al 21 per cento. I ministri delle Finanze europei hanno ottenuto perlomeno di indicare nell’intesa la formula at least: «almeno il 15 per cento», dunque con qualche margine per trattare ancora un rialzo. L’accordo è in ogni caso “storico”, se si considerano i tanti anni di stallo.

La svolta

Cosa ha consentito di sbloccare i negoziati? Innanzitutto il cambio di amministrazione alla Casa Bianca. Ángel Gurría, segretario dell’Ocse dal 2006 a fine maggio, in tutti questi anni ha assistito agli sviluppi. E non è un caso che a fine aprile, poco prima di lasciare l’incarico, abbia detto: «Questa è l’occasione di una vita». Capita una volta nella vita: il riferimento di Gurría è alla posizione di Joe Biden, decisamente favorevole a un accordo globale. C’è poi un altro elemento che ha contribuito in modo radicale, e che riguarda Washington ma pure l’Unione europea: così come Biden ha previsto, e deve finanziare, un piano di ristoro da 1.900 miliardi di dollari per la ripresa, così Bruxelles deve finanziare il debito comune e il Recovery. «Quando ci sono le crisi drammatiche è il momento di ridisegnare le regole», ha detto il commissario Paolo Gentiloni oggi commentando l’intesa. Le multinazionali, specialmente quelle tecnologiche che nella crisi del Covid-19 hanno persino rafforzato la propria posizione, non possono più eludere le tasse.

Paradisi

Una succursale irlandese di Microsoft lo scorso anno è riuscita a non pagare affatto tasse su profitti da oltre trecento miliardi semplicemente stabilendo la sua sede alle Bermuda. Anche compagnie nostrane come Eni, in paesi come le Bermuda, hanno potuto godere di regimi fiscali favorevoli. Ma non c’è bisogno di andare in mete esotiche, basta rimanere in Lussemburgo o in Irlanda. I patti fiscali siglati quando al governo del Lussemburgo c’era Jean-Claude Juncker hanno consentito a 340 grandi aziende come Fiat, Pepsi, Ikea di pagare tasse irrisorie a discapito degli altri paesi europei. Lo scandalo LuxLeaks del 2014 ha consentito all’Ue di recuperare poi milioni di euro. In Irlanda, per i suoi regimi fiscali favorevoli, hanno tuttora sede colossi tech come Facebook. Non a caso Paschal Donohoe, il ministro delle finanze di Dublino, dove le corporation godono di tasse al 12,5 per cento, ha reagito all’accordo del G7 precisando che «l’accordo dovrà tener conto delle necessità di tutti i paesi, grandi e piccoli».

Effetto Europa

Finora anche al livello europeo i «paesi piccoli» come Irlanda e Lussemburgo avevano frenato riforme sostanziali, che pure ingrosserebbero i bilanci europei. Adesso che è arrivato il momentum, anche l’Ue può procedere verso la riforma fiscale Gentiloni con qualche elemento di solidità in più. «La nostra proposta ci sarà comunque, ma quel che succede a livello globale è uno straordinario catalizzatore», aveva detto il commissario europeo annunciando la sua riforma fiscale. Gentiloni aveva anche anticipato che i due pilastri dell’accordo globale si sarebbero trasformati in due direttive europee; e che l’implementazione effettiva dell’accordo avrebbe richiesto tempo. Ad accordo trovato, Gentiloni commenta che «si tratta di un grande passo» ma aggiunge che l’intesa va estesa a tutti i paesi Ocse e che «Bruxelles contribuirà attivamente ai dialoghi multilaterali per arrivare così a un accordo ambizioso a luglio».

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