Se alla fine tra i candidati alla guida di Unicredit, la seconda banca italiana, la spuntasse Marco Morelli, l’ex amministratore delegato di Monte dei Paschi di Siena, il groviglio sarebbe davvero completo. Morelli è l’uomo che ha guidato Mps dopo la cacciata di Fabrizio Viola sotto il governo Renzi e per tutto il periodo in cui Pier Carlo Padoan, oggi consigliere e presidente in pectore di Unicredit, era ministro del tesoro e azionista di Mps.

Il suo nome dovrebbe essere nella lista di candidati che oggi il consiglio di amministrazione di Unicredit inizierà a valutare per la sostituzione dell’amministratore delegato Jean Pierre Mustier, assieme a quello tra gli altri di Andrea Orcel, l’ex presidente di Ubs investment bank che ironia della sorte trattò per Merrill Lynch l’operazione Antonveneta che fu il peccato originale sui conti di Mps, e dell’ex Deutsche Bank, Flavio Valeri e l’ex Cdp e oggi direttore di Financantieri Fabio Gallia.

Quanto ci costa?

Il processo di nomina coordinato proprio da Padoan dovrebbe essere finalizzato nel consiglio del dieci febbraio prossimo. Per quel momento allora potrebbe esserci anche una risposta alla domanda delle domande: quanto arriverà a costare l’operazione Unicredit – Monte dei Paschi di Siena allo stato italiano?

Il conto definitivo ancora non c’è, ma nelle settimane scorse ha continuato a lievitare, seppur diviso in molti rivoli. In teoria il ministero del Tesoro che controlla il 64 per cento del Monte dei Paschi di Siena dopo averla salvata nel dicembre del 2016 sta cercando di vendere la banca al miglior offerente.

Lunedì sera l’istituto di credito di Siena ha annunciato di aver affidato a «Credit Suisse un incarico di advisor finanziario al fine di affiancare Mediobanca nella valutazione delle alternative strategiche a disposizione della Banca» e «operare una verifica degli interessi di mercato» e di essere pronta ad aprire una data room per offrire le informazioni finanziarie necessarie a una valutazione più attenta.

Nella pratica, quello che si sa anche senza una attenta valutazione, è che Mps a metà novembre aveva un ammanco di capitale rispetto ai requisiti patrimoniali della Banca centrale europea e che nonostante gli interventi del governo a marzo avrà un buco di 300 milioni di euro. Tanto che la parte più importante del comunicato di lunedì della banca è alla fine ed è appena di una riga, lì dove si annuncia che il consiglio di amministrazione programmato per il 19 gennaio è stato posticipato al 28 gennaio 2021 quando entro il mese c’è un piano da presentare alla Commissione europea per l’aumento di capitale. Il calendario immaginato dal ministero dell’Economia, per il quale questa doveva essere la settimana decisiva per l’operazione di vendita del Monte dei Paschi a Unicredit, è per forza di cose cambiato.

Le quattro mani del governo

Il governo ha cercato di oliare il suo progetto di vendita in molti modi e con molte mani. L’inserimento nella legge di bilancio della norma per incentivare le fusioni bancarie e permettere di trasformare la cessione di crediti deteriorati in crediti di imposta ha di fatto offerto a Mps e al suo eventuale acquirente una dote di circa 3 miliardi di euro.

Con un’altra mano, quella di Amco la società controllata dal Tesoro, guidata dall’ex manager di Unicredit Maria Natale, e presieduta dal direttore del Tesoro Alessandro Rivera, l’uomo che sta seguendo in prima linea l’operazione del Monte dei Paschi, sta valutando di acquisire tra i 14 miliardi di crediti deteriorati lordi di Unicredit, secondo il Messaggero addirittura venti, su un totale a fine settembre di 22,7. Cioè è pronta a ripulire il bilancio di Unicredit per due terzi o completamente. Una operazione che potrebbe convincere i fondi esteri azionisti di Unicredit interessati al dividendo e al ritorno all’investimento all’acquisizione della traballante Monte dei Paschi.

Con una terza mano quella di Sace il 30 dicembre ha concesso la garanzia su crediti in bonis di Mps e della sua controllata Mps capital services, offrendole ha calcolato la Stampa di liberare 400 milioni di euro di accantonamenti. Questo mentre si aspetta ancora che la quarta mano, quella di azionista di controllo, definisca chiaramente l’ammontare dell’aumento di capitale. Poi bisogna contare che se si dovesse davvero arrivare al matrimonio con Unicredit potrebbero servire fino ad altri 1,2 miliardi di euro per finanziare il fondo esuberi, visto che le uscite anticipate sarebbero circa 6mila.

Il rovesciamento

Nel frattempo però oltre al conto salato per i contribuenti, continuano a crescere anche le variabili di cui tenere conto.

A metà di dicembre l’ex ministro, ex deputato a Siena Padoan ha iniziato a incontrare alcuni degli azionisti.

La Delfin di Leonardo Del Vecchio, il presidente di ExilorLuxottica, azionista anche di Mediobanca e di Generali, che ha in mano l’1,9 per cento della banca è pronta a un voto contrario in nome della richiesta di una strategia industriale. E chiede anche una governance che rispecchi più direttamente gli azionisti. A fondazione Cariverona il no non è così netto, ma l’ente azionista all’1,8 per cento, guarda soprattutto sull’andamento del titolo, crollato nei giorni successivi all’annuncio dell’abbandono di Mustier e in corrispondenza alle indiscrezioni su una possibile acquisizione di Mps. 

In un rovesciamento di ruoli Padoan si è trovato le fondazioni, spesso accusate di portare la politica dentro il mondo bancario, a chiedere all’ex politico garanzie di mercato.

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