La Pubblica Amministrazione italiana paga con grande ritardo i suoi fornitori, a svantaggio soprattutto delle piccole e medie imprese, nonché dei cittadini, del Sistema Sanitario Nazionale (Ssn) e dell’intero sistema economico del Paese. A beneficiarne invece sono le mafie e la criminalità organizzata che, grazie alle enormi riserve di liquidità di cui dispone, condiziona l’economia legale. Nel frattempo, accumula ritardi anche la riforma prevista dal Pnrr sulla riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e delle autorità sanitarie.

Dai dati di monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato emerge che l'importo complessivo del debito commerciale delle Pubbliche Amministrazioni (PA) nel 2022 è di 29,3 miliardi di euro. Il debito scaduto ammonta a circa 15,8 miliardi di euro, cioè il 54,1 per cento dell'importo complessivo. La fetta più grossa del debito scaduto e non pagato riguarda gli enti locali e gli enti del sistema sanitario nazionale.

Nella relazione al Parlamento di marzo di quest’anno la Corte dei conti ha rilevato che l’indebitamento dei servizi sanitari regionali verso i fornitori è passato dagli oltre 15,26 miliardi di euro del 2019 ai 17,47 miliardi del 2021, nonostante la fatturazione elettronica obbligatoria abbia migliorato, per i debiti più recenti, i tempi medi di pagamento. L’incremento più consistente è dato dai debiti verso i fornitori non ancora scaduti, che sono aumentati del 24 per cento. Si tratta delle fatture per servizi e acquisti fatti dagli enti sanitari locali per i quali i fornitori non hanno ancora ricevuto i pagamenti. I debiti scaduti, cioè quelli non pagati entro la data di scadenza, sono aumentati in nove regioni su diciannove. Per le Aziende sanitarie locali (Asl), scrive la Corte, il problema deriva, in buona parte, da una non corretta gestione della programmazione finanziaria.

Il Ssn si finanzia con risorse pubbliche. La legge di bilancio definisce il finanziamento del fabbisogno sanitario standard a cui concorre lo Stato. Il ministero della Salute formula quindi alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome la proposta di riparto del finanziamento. Infine, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) assegna i finanziamenti tra le Regioni, le quali hanno il dovere di pianificare ed erogare le risorse alle aziende sanitarie territoriali.

Le fonti di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale sono rappresentate dai ricavi e dalle entrate proprie delle aziende del Ssn (tra cui per esempio il pagamento del ticket); dall’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) e dall’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (addizionale Irpef); dallo Stato attraverso la compartecipazione all’imposta sul valore aggiunto (Iva) e le accise sui carburanti; dal Fondo sanitario nazionale. L’imposizione fiscale, quindi, costituisce una parte consistente delle fonti che finanziano il fabbisogno finanziario del Ssn.

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Obiettivi mancati

Nell’ambito del Pnrr, tra le riforme che l’Italia si è impegnata a realizzare in linea con le raccomandazioni della Commissione europea, è prevista quella relativa alla “Riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e delle autorità sanitarie”. La riforma prevede il conseguimento di specifici obiettivi intermedi e finali di performance.

In base ai dati di Openpolis, tra gli obiettivi previsti, al 31 maggio 2023 risultano raggiunti, sebbene in ritardo, solo la predisposizione del calcolo degli indicatori dei tempi di pagamento, la messa online del sistema informatico integrato di gestione della contabilità pubblica a supporto delle amministrazioni pubbliche (InIT); il decreto legge 13/2023, poi convertito dalla legge 21 aprile 2023/41 che ha introdotto nuove norme sui livelli di efficienza dei sistemi di pagamento delle amministrazioni pubbliche. Il resto delle misure, mentre scriviamo, risulta in ritardo rispetto alla tabella di marcia che ne fissava la realizzazione al quarto trimestre 2023, cioè entro dicembre dell’anno scorso.

Se la PA è in ritardo con i pagamenti la legge impone interessi di mora sulle fatture scadute. Con un contraccolpo sui contribuenti, che oltre a non vedersi garantito l’accesso ai servizi della sanità pubblica, rischiano di fatto un inasprimento del carico fiscale per far fronte al pagamento degli interessi moratori rivendicati dai fornitori. Tra le aziende, solo quelle che hanno grandi riserve di liquidità possono attendere tempi lungi per il pagamento dei beni o servizi forniti. Si tratta in genere di grandi imprese, non di quelle piccole e medie che vengono invece colpite nella loro capacità di sopravvivenza a un sistema ormai radicato.

Secondo dati di Banca d’Italia, a livello nazionale nel 2023 il debito delle amministrazioni regionali incide per 38,2 miliardi sul totale di 84,2 miliardi di euro del debito delle amministrazioni locali. Bankitalia include nel comparto ‘Regioni’ le passività riconducibili a operazioni di cartolarizzazione di crediti nei confronti di enti del settore sanitario.

Se un’azienda fornisce beni o servizi alla PA e non riceve pagamento, diventa titolare di un credito commerciale. Si tratta di crediti caratterizzati da alto rendimento e basso rischio perché il debitore è una pubblica amministrazione, e il credito è considerato affidabile. Le aziende private che hanno crediti con la PA si affidano a banche o società che trasformano, attraverso cartolarizzazioni, quei crediti in obbligazioni collocate sui mercati. La cartolarizzazione è un’operazione che trasforma i crediti (mutui, crediti sanitari, ecc.) in titoli negoziabili e permette ai creditori di recuperare la liquidità senza dover aspettare.

Mafia bonds

Le cartolarizzazioni se da un lato consentono alle imprese di incassare immediatamente i propri crediti nei confronti della PA, dall'altro però comportano dei rischi per le stesse e oneri per la PA. Nel 2020 il Financial Times in un’inchiesta su titoli coperti da debiti commerciali garantiti dallo Sato ha scoperchiato il meccanismo attraverso cui i crediti sanitari di imprese colluse con la ‘ndrangheta sarebbero stati cartolarizzati (i cosiddetti ‘mafia bonds’), cioè trasformati in obbligazioni per poi venire acquistati da investitori di tutto il mondo tra cui Banca Generali. Tanto quell’inchiesta quanto esperti e rapporti evidenziano almeno da un paio di decenni che la cartolarizzazione può essere usata per riciclare denaro. Soltanto? No, c’è di più. Le mafie dispongono della liquidità necessaria per acquistare crediti commerciali nei confronti della PA, sui quali può, come sostiene la normativa, maturare alti interessi garantiti dai tassi moratori sulle fatture scadute.

In un’analisi del 2022 di Banca d’Italia e Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (Uif), si riporta il caso di una regione che ha sottoposto all’attenzione dell’Uif cessioni di crediti sanitari vantati da alcune strutture private nei confronti delle Asl. Le cessioni venivano eseguite a favore di alcuni veicoli di cartolarizzazione. Alcuni dei crediti cartolarizzati sono stati contestati dalle Asl, poiché riguardanti fatture già pagate oppure mai notificate alle stesse. Ulteriori analisi hanno rilevato in alcune operazioni il coinvolgimento di realtà già coinvolte in indagini per infiltrazioni della criminalità organizzata.

Riciclaggio di denaro sporco, acquisto e cartolarizzazione di crediti verso la PA, fatture false: è ormai noto che le mafie introducono liquidità nell’economia legale senza dover ricorrere né alla violenza né alla corruzione. A pagarne le conseguenze sono cittadini, imprese e tutto il sistema Paese. Mentre il governo Meloni continua ad accumulare ritardi nell’attuazione di una riforma fondamentale del Pnrr come quella sulla riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e delle autorità sanitarie.

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