Nella banca dove ho i risparmi il mio private banker (si definisce così) da quando ho venduto casa mi sta spingendo a investire soprattutto sui Pir, Piani Individuali di Risparmio, perché in questo modo finanzierei con i miei risparmi l’economia “reale” e otterrei soprattutto delle agevolazioni fiscali interessanti. Che giudizio ha di questo prodotto? È così conveniente sottoscrivere i Pir?

Alberto

Gentile Alberto, il tema, in effetti, oltre che di interesse è di grande attualità considerato che nella Legge di Stabilità in discussione in parlamento per il 2022 si parla proprio di «potenziamento dei piani individuali di risparmio», ovvero di alzare la soglia di investimento nei piani individuali di risparmio oggetto di fiscalità agevolata.

Il governo Draghi sembra quindi intenzionato, come richiesto da banche e reti dopo un quinquennio dal lancio della prima versione (governo Renzi), ad allargare i benefici fiscali e portare il tetto di investimento ammissibile annuale da 30 a 40.000 euro e fino ai 200.000 euro all'anno, dai precedenti 150.000 euro previsti come limite massimo dell’importo investito.

I Pir sono quindi dei “contenitori fiscali” che investono la stragrande maggioranza del proprio patrimonio su azioni e obbligazioni di aziende italiane. Trascorsi cinque anni dall’investimento iniziale, se il fondo Pir è in guadagno, l’investitore può venderlo ed è esonerato dal pagamento delle tasse sulle plusvalenze realizzate e se muore nel frattempo i suoi eredi si consoleranno in parte non pagando sulla somma investita in Pir tasse di successione.

Qualche riserva è lecita, perché il beneficio fiscale è un grande incentivo per banche e reti per vendere questi prodotti poiché molti risparmiatori italiani, di fronte alla parolina magica “no tax”, sottoscriverebbero pure il debito del Sudan.

Fra i pro di questo strumento c’è certo l’appeal fiscale ma per non pagare le tasse sui guadagni prima di tutto quei guadagni devono esserci… E inoltre (aspetto importantissimo) il costo che si paga al gestore del fondo e ai collocatori non deve mangiare i benefici fiscali altrimenti il vantaggio può diventare soprattutto teorico.

 Se un capitale di 100 si rivaluta in 5 anni del 40 per cento grazie al fondo Pir un risparmiatore potrebbe risparmiare un 10,4 per cento di tassazione (la tassazione sui guadagni in conto capitale è del 26 per cento) che altrimenti porterebbe il rendimento netto al 29,6 per cento (risultato di 40-10,4). Ma per godere di questo vantaggio la banca o assicurazione potrebbe chiedere di pagare in questo quinquennio un 10/15 per cento di costi commissionali! Risultato: per pagare meno tasse se ne possono spendere anche di più in costi che vanno a favorire la banca, la rete e i suoi venditori.

Esistono fondi passivi (gli Etf) che possono investire nello stesso perimetro dei Pir e hanno costi nettamente più bassi (per esempio lo 0,4 per cento) che si confrontano con il 2-3 per cento medio effettivo di numerosi fondi Pir. Per questo ottengono nel tempo risultati di gran lunga migliori come performance (e anche minori rischi) rispetto a quelli di molti gestori “attivi”. E questo succede in realtà in oltre l’85 per cento dei casi dei fondi d’investimento collocati dalle banche e reti italiane. E ci sono certo le eccezioni (Pir compresi). 

Non deve quindi sorprenderla che molte banche e reti spingano i Pire i loro fondi. Con il 2-2,5 per cento all’anno di costi in 5 anni un 10/15 per cento del capitale del cliente (comunque vadano i mercati) diventa ricavo e si sottrae al risparmiatore. E per questo motivo il risparmio degli italiani è nei piani industriali di tutte le banche italiane il vero “petrolio” da estrarre.

In altri paesi (Francia, Gran Bretagna o Stati Uniti) si è pensato a contenitori fiscali simili ai Pir (e senza vincoli nazionalistici così forti e potenzialmente rischiosi quando si concentrano troppo gli investimenti) e all’estero i legislatori e il mercato hanno previsto la possibilità per i risparmiatori di poterli costruire anche senza passare obbligatoriamente dai prodotti confezionati da banche e assicurazioni. Componendosi per esempio con Etf o azioni e obbligazioni dirette il “Pir fai da te” o con l’ausilio di consulenti indipendenti vigilati.

In Italia tutto questo non è stato nemmeno previsto o discusso dopo cinque anni dal lancio dei primi Pir. E di fatto ancora oggi nessuna banca italiana consente a un risparmiatore, per esempio, di detenere un Pir “low cost” costituito da Etf.

In Italia i costi del risparmio gestito sono fra i più alti non solo in Europa, dando una rendita di posizione formidabile a banche e reti. Un recente studio di Mediobanca Securities sulle società quotate del risparmio gestito ha evidenziato come molti costi applicati ai risparmiatori italiani sono ingiustificabili (possono assorbire anche i due terzi del risultato finale) ma il governo e il parlamento non considerano l’argomento degno di nota, seppure la tutela del risparmio sia inserito nella Costituzione italiana.

Ed è curioso che Mario Draghi, l’attuale premier, così competente sulla materia non valuti le potenziali conseguenze anche negative delle rendite parassitarie. Che non riguardano solo i proprietari di stabilimenti balneari.

Draghi è stato peraltro allievo importante di Federico Caffè, docente di Politica Economica all'Università La Sapienza di Roma scomparso nel nulla il 15 aprile 1987 e conosce bene cosa pensava il grande economista pescarese in materia: «Da tempo sono convinto che la sovrastruttura finanziario-borsistica con le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati favorisca non già il vigore competitivo ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio, che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori in un quadro istituzionale».

L’entusiasmo di alcuni gestori sull’andamento dei Piani Individuali di Risparmio è quindi comprensibile. Riguardo il fatto che con i Pir si finanzi l’economia bisogna farci naturalmente una bella tara perché se si acquistano quote di azioni sul mercato secondario non un cent va all’economia “reale” se non a quella degli intermediari finanziari. Ma lo storytelling oggi vince su tutto.

Se si guarda poi la raccolta dei fondi Pir si noterà come in Italia 5 soli fondi (soprattutto di Intesa e Banca Mediolanum) catturano il 50 per cento del mercato. Fondi che in numerosi casi rispetto a quanto ha performato il mercato hanno sovente fatto nettamente meno per i costi elevati applicati.

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