Sono un piccolo azionista rimasto incastrato pesantemente dentro Saipem che in settimana ha annunciato un crollo del fatturato e degli utili previsti, smentendo completamente quello che solo pochi mesi fa aveva detto al mercato. Il titolo è crollato quasi del 40%. Un vero scandalo per un’azienda parastatale dato che è controllata congiuntamente da Eni e Cassa Depositi e Prestiti ovvero dal Ministero dell’Economia e Finanze. Vi sembra normale? Cosa succede?

A.


Gentile A,

La situazione di Saipem (acronimo antico di Società azionaria italiana perforazioni e montaggi) in effetti è molto imbarazzante per il management e gli azionisti di riferimento (Eni e Cassa depositi e prestiti) e non vorrei essere nei panni di Francesco Caio (ex McKinsey, Olivetti, Indesit, Poste e Alitalia) presidente della società dal 2018 e amministratore delegato dall’aprile 2021. Un manager di lungo corso con fama di risanatore che è finito “perforato” da quello che una volta era considerato un gioiello del gruppo Eni.

Solo a fine ottobre 2021 la società di servizi energetici, che aspirava a passare dal settore petrolifero a quello della generazione eolica, aveva incontrato gli investitori di tutto il mondo e alla presentazione del nuovo piano industriale quadriennale parlava del suo impegno di «creare un’azienda più resiliente nel tempo con una crescita attesa solida e profittevole e basata sulla generazione di cassa». Una Saipem a doppia trazione: investimenti nelle energie tradizionali e transizione energetica per servire una nuova domanda.

Una delle due gambe deve essersi rotta di brutto perché lunedì scorso, prima dell’apertura dei mercati, la società con sede a San Donato Milanese ha annunciato un fatturato sotto le previsioni per oltre un miliardo di euro lanciando un appello ai soci di maggioranza Eni e Cassa depositi prestiti per un’urgente iniezione di liquidità che si stima in almeno un miliardo o meglio un miliardo e mezzo di euro.

La perdita attesa di 2 miliardi di euro circa, secondo Mediobanca, a questo punto per il 2021 supererebbe un terzo del capitale sociale e secondo l’art. 2446 del codice civile i soci devono aprire il portafoglio.

Facile poi comprendere lo smarrimento degli azionisti e il motivo per cui il titolo in Borsa ha subito un tracollo del 33 per cento delle quotazioni solo lunedì scorso. Altro che generazione di cassa!

Azionisti stremati

Un bel pasticcio per una società che capitalizza a questo punto circa 1,3 miliardi di euro e ha azionisti di minoranza stremati da crolli delle quotazioni, aumenti di capitale a go-go e troppi buchi nell’acqua fatti dal management dopo ripetuti piani industriali che annunciavano ogni volta la svolta definitiva.

Un aumento di capitale che non sarà quindi una passeggiata (e per questo motivo molti investitori si sono sbarazzati del titolo) e che vedrà probabilmente la maggior parte dell’onere ricadere sulla major petrolifera e del gas controllata dallo stato ovvero Eni, che possiede poco più del 30 per cento di Saipem, e sul fondo sovrano all’italiana, Cassa depositi e prestiti, che ha una partecipazione di circa il 12,55 per cento. Quest’ultima era entrata nel capitale nel 2015 facendo un gran favore all’Eni che aveva potuto così deconsolidare il debito e ridurre la presenza.

E sul mercato corrono le voci più disparate che prevedono il soccorso di qualche gruppo in buona salute che prenda il comando delle operazioni (si è fatto il nome di Maire Tecnimont che si è affrettata a smentire per non finire trascinata al ribasso) ed è stato annunciato nel fine settimana l’affiancamento alla guida dell’azienda di un altra coppia di top manager da mettere vicino a Caio (e non Tizio o Sempronio) visto che la credibilità dell’attuale è in parte compromessa per molti investitori.  

Ora gli azionisti e il management devono lavorare non solo per riportare in sicurezza il capitale sociale ma anche per sistemare il debito visto che c’è un’obbligazione Saipem in scadenza ad aprile per 500 milioni di euro, dei “covenant” da rispettare (ovvero delle clausole vincolanti per l'impresa pena il ritiro dei finanziamenti) che sono saltati e il mercato ha fiutato sangue facendo lievitare il rendimento delle obbligazioni Saipem a tassi da paese sudamericano sull’orlo di un golpe. Quella con scadenza 5 aprile 2022 è arrivata, infatti, giovedì a rendere su base annua il 46 per cento.

Cosa è successo? Dalle comunicazioni ufficiali si dice e non si dice e nella nota ufficiale che il bubbone è emerso con la “backlog review” ovvero indagando sulle commesse in portafoglio.

Eolico

Dopo aver annunciato a fine ottobre agli investitori che tutto andava bene e c’erano brillanti prospettive per il futuro si devono essere accorti che gli ordini in portafoglio avevano qualche problema ed erano stati sbagliati evidentemente i conti sui tempi di esecuzione e sui margini.

La società con sede a San Donato Milanese ha segnalato problemi nel segmento eolico, che è al centro da diversi anni dei suoi sforzi per abbandonare i combustibili fossili e puntare sulla transizione energetica.

Ci sono poi problemi in Mozambico dove Saipem è impegnata in un mega progetto miliardario (fra le più importanti commesse in carniere) per l’attività di produzione di gas naturale liquefatto (il business principale) ma che è stato bloccato (fino a metà 2022 sembrerebbe in base alle ultime indicazioni) a causa di una serie di attacchi dei ribelli nel nord (un gruppo di islamisti) del paese all’inizio dello scorso anno.

Saipem peraltro aveva già lanciato nel 2016 un aumento di capitale iper diluitivo da 3,5 miliardi di euro e accumulato perdite miliardarie dal 2017 al 2020 e alla somma si potrebbero ora aggiungerne altre per circa 2 miliardi nel 2021. Il primo grande tracollo di Saipem risale al 2012. Da allora ce ne sono stati almeno altri 3 e altrettanti amministratori delegati hanno provato a rilanciare la società.

Nel passato Saipem era stata invece una delle blue chip di Piazza Affari che il mondo ci invidiava con rendimenti medi annui per un decennio superiori al 20 per cento fino a 10 anni fa. Un titolo da cassettisti che sembrava non tradire mai. Invece come sanno tutti gli investitori un po’ disincantati, nulla è per sempre e non esistono i titoli “forever”. Investire in Borsa può dare grandi soddisfazioni (è quello che storicamente genera nel tempo i migliori rendimenti) nel tempo ma se si sbagliano la “ricetta” e le “dosi” può trasformarsi in un Titanic.

Nell’ultimo decennio il titolo Saipem ha visto la capitalizzazione scendere di oltre 15 miliardi di euro e di un impressionante -97 per cento. Monte Paschi di Siena ha fatto in compenso molto peggio (-99.88 per cento).

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