Al ministero dell’Economia e delle finanze la scadenza è fissata tra dieci giorni. Entro quella data, quindi all’incirca dopo Pasqua, il governo di Mario Draghi dovrebbe presentare la sua versione del Piano di ripresa e resilienza in parlamento. Una versione che modifica e rifinisce il grosso del lavoro che era stato fatto dall’esecutivo Conte II.

Questo significa che dopo ci saranno circa tre settimane per visionare il Piano e approvarlo prima del 30 aprile, il limite massimo previsto dalla Commissione europea per la presentazione di piani. La stessa si è poi impegnata ad avviare entro l’estate il finanziamento dei progetti.

Ieri il presidente del Friuli-Venezia Giulia Massimo Fedriga ha ribadito quello che tutti sanno. «I tempi sono stretti», ha detto riferendosi al confronto ritardato sul Piano con le regioni. I rappresentanti degli enti locali, che devono essere coinvolti nella stesura come ha specificamente spiegato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, si sono incontrati ieri con il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e con quello della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. Mentre in parlamento c’è chi già confida nel periodo di due mesi, che la Commissione europea ha a disposizione prima di dare la sua valutazione, per apportare eventuali ulteriori modifiche al Piano nazionale.

Le commissioni

A oggi il parlamento ha quasi ultimato i lavori per dare il proprio parere, ma sulla vecchia versione, quella elaborata dal governo Conte II e dettagliata in circa cinquecento pagine di schede tecniche. Quasi tutti i pareri delle commissioni di Camera e Senato presentano osservazioni al Piano ma non fissano condizioni. Insomma suggeriscono al governo di fare qualcosa, di cambiare i saldi, di investire di qui, di realizzare una data riforma, ma non lo impegnano concretamente. Anche perché tutto il processo, al momento, è nei fatti un enorme paradosso: il parlamento non sa ancora di preciso come il governo intende modificare il piano di ripresa scritto dall’esecutivo precedente, ma palazzo Chigi vuole conoscere in anticipo i pareri delle camere. E il tempo intanto corre.

In tutto questo, fino a venerdì scorso, il nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi non aveva ancora predisposto il decreto con le deleghe per i sottosegretari. Il testo è stato bloccato fino a che non si è trovata una soluzione sulla delega, ambitissima, all’aerospazio, che è stata assegnata al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Bruno Tabacci, l’uomo che può vantarsi di conoscere il premier dai tempi del governo Goria. L’aerospazio è uno dei settori su vengono impiegate molte delle risorse dei piani industriali europei – non è un caso che la visita in Italia del ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, abbia coinciso con la firma di una intesa tra due aziende del comparto, Avio e Arianespace – ed è una casella cruciale anche in vista del Piano di ripresa e resilienza.

Sistemata la questione della delega, il nuovo ostacolo sul fronte delle partite industriali e degli equilibri di potere è quello della rete unica, con i ministri Giancarlo Giorgetti e Vittorio Colao che vogliono fare chiarezza e hanno dato – seppure senza dire esplicitamente i loro interlocutori ma rivolgendosi de facto all’Enel di Francesco Starace e a Open Fiber – due settimane di tempo per fare chiarezza sulla volontà o meno di partecipare al progetto. Il tutto senza dare particolare rilevanza al parere dell’Antitrust che ha sottolineato la necessità di concorrenza sulle infrastrutture del digitale.

Fuori dalle aule

E mentre le partite strategiche si giocano fuori dal parlamento, deputati e senatori pongono condizioni di approccio generale. Secondo i parlamentari della commissione Affari costituzionali del Senato serve, per esempio, uno studio dettagliato dell’impatto di genere del Piano. La Lega è riuscita a inserire la richiesta di nuove strutture per le forze dell’ordine e i vigili del fuoco. Mentre la commissione Ambiente di palazzo Madama ha chiesto di aumentare i fondi per prevenire il dissesto idrogeologico: nel vecchio piano ammontano a 3,6 miliardi di euro, ma si tratta di fondi quasi interamente già stanziati. Neanche a dirlo, sul fronte della transizione ecologica, viene chiesto di chiarire una volta per tutte la strategia sull’idrogeno senza peraltro mettere in secondo piano l’obiettivo dell’idrogeno verde come punto di arrivo ottimale. Ma anche di specificare gli obiettivi del Piano nazionale energia e clima. Questioni su cui il ministro Roberto Cingolani, al momento, non ha fatto chiarezza.

Le urgenze sollevate durante la crisi di governo – che in teoria verteva sul Piano di ripresa –, come quella di fornire un piano industriale per la filiera automotive, non sembrano essere all’ordine del giorno. Nei ministeri e in parlamento si converge soprattutto su misure di semplificazione: gli incentivi per la transizione 4.0 potrebbero essere tradotti anche come crediti di imposta per renderli più semplici ed efficaci, mentre fioccano le proposte per semplificare il super bonus. Intanto la commissione Finanze della Camera continua a chiedere che la riforma fiscale venga inserita nel piano di ripresa. Ecco, le riforme, uno dei pezzi mancanti più pesanti del vecchio piano, continuano a essere quelle che sollevano più interrogativi. Soprattutto sulla possibilità di arrivare a un compromesso, a partire da quello da trovare sul codice appalti, tra le diverse forze politiche che compongono la maggioranza. La gestione della crisi del decreto Sostegni ha mostrato che Draghi tende a prendere le decisioni in prima persona, soprattutto quando il tempo corre.

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