Per il presidente del consiglio, ex governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, e per il ministro dell’Economia Daniele Franco, per lunghi anni ragioniere generale dello stato, questa è una vecchia storia che torna prepotentemente e non se ne vuole andare. La perizia redatta per il giudice delle indagini preliminari di Milano, Guido Salvini, per dare un contenuto all’incidente probatorio chiesto dalla procura nell’ambito del terzo troncone del procedimento penale sul Monte dei Paschi di Siena, riscrive la storia dei bilanci della banca, con un effetto potenzialmente dirompente per i conti già traballanti e per le strategie dello stato azionista dell’istituto di credito.

L’inchiesta vede indagati per falso in bilancio Alessandro Profumo, ex presidente di Mps e attuale amministratore delegato di Leonardo, l’ex amministratore delegato, Fabrizio Viola, e l’ex presidente del collegio sindacale, Paolo Salvadori.

Profumo e Viola sono stati già condannati dal tribunale di Milano a sei anni di reclusione per falso in bilancio e aggiotaggio nella contabilizzazione dei derivati Alexandria e Santorini, e ora sono in attesa di capire se saranno rinviati a giudizio anche per il trattamento dei crediti deteriorati in bilancio nel periodo che va tra il 2012 e 2015, o prosciolti come ha sempre chiesto la procura. La quale però si è vista respingere nel 2019 proprio da Salvini l’archiviazione.

Le rettifiche mancanti

La prima cifra che balza agli occhi, nelle oltre seimila pagine di perizia del team del commercialista Gian Gaetano Bellavia, che diventano 55mila se si contano gli allegati, è quella relativa alla cifra complessiva dei crediti che non sarebbero stati contabilizzati correttamente nei vari esercizi secondo la loro competenza temporale, tra il 2012 e il 2015: ben «11,42 miliardi di euro, pari a 7,766 miliardi al netto dell’effetto fiscale». Queste conclusioni «condividono pienamente» quelle a cui erano giunte le autorità di vigilanza bancaria e accertano che i criteri seguiti dalla Bce nella valutazione dei crediti erano «rispettosi» sia della normativa che dei principi contabili del tempo, si legge nella perizia. Princìpi che peraltro non sono mutati nel tempo, «contrariamente a quanto inaspettatamente si è letto nei bilanci della banca» per giustificare la politica di gestione dei crediti deteriorati.

Il bilancio 2015

L’anno peggiore di tutti è il 2015. Nel bilancio consolidato di quell’esercizio il gruppo senese non ha iscritto rettifiche su crediti per oltre 6,8 miliardi di euro. Se quei crediti fossero stati svalutati correttamente l’utile netto di 389 milioni di euro che si trovava scritto in quel bilancio sarebbe diventata una perdita di 4,28 miliardi di euro, al netto dell’effetto fiscale che avrebbe reso la pillola meno amara. La differenza è enorme e si ravvisa anche nel patrimonio netto contabile, che sarebbe diminuito a 4,9 miliardi di euro dai 9,6 miliardi, il tutto nonostante l’aumento di capitale da 3 miliardi portato a termine nel giugno di quell’anno.

Che si sommava a quello da 5 miliardi del 2014. In totale otto miliardi chiesti agli investitori sul mercato poi inghiottiti da questa valanga di crediti inesigibili che, secondo la perizia, i vertici nonostante i solleciti delle autorità non avevano evidenziato. Proprio dopo la chiusura di quel bilancio 2015, l’allora primo ministro Matteo Renzi aveva dichiarato la banca risanata.

La perizia, per espressa richiesta del gip, è arrivata fino ai bilanci del 2017, quando l’amministratore delegato era Morelli e l’azionista era lo stato, per riconsiderare l’effetto anche su quei bilanci delle svalutazioni che dovevano essere riportate al 2015. Infatti la perdita di bilancio del 2016 si dimezza a 1,4 miliardi di euro e quella del 2017 scende notevolmente, da -3,5 miliardi a -782 milioni.

La perizia contiene anche una revisione della consulenza di parte firmata da Roberto Tasca – attuale assessore al Bilancio del comune di Milano – con la quale la procura ha chiesto l’archiviazione del fascicolo su questi fatti. Bellavia non condivide i risultati di quella consulenza e, soprattutto, ha stigmatizzato la volontà dei consulenti di stabilire se ci fossero stati o meno comportamenti «dolosi o gravemente colposi» del management nella gestione di quegli anni. Cosa che non spetta dire, ovviamente, a un consulente ma solo al giudice.

Il ruolo del ministero

Nell’attesa che il giudice si pronunci, il governo e in particolare il ministero dell’Economia, occupati da ex uomini delle autorità di vigilanza, si trovano in molteplici ruoli. Tutti scomodi. Il Mef è azionista di maggioranza di Mps, impegnato anche con l’ultimo decreto sostegni bis di rendere la sua acquisizione più profittevole possibile, regalando miliardi di sconti fiscali e a negoziare con la commissione europea sul futuro della banca. Ha votato contro l’azione di responsabilità contro gli ex vertici di Mps e è azionista al 30 per cento anche di Leonardo, la cui assemblea si dovrà pronunciare su un provvedimento simile sempre nei confronti di Profumo, che guida una società centrale per i progetti di sviluppo del Pnrr e è anche l’eventuale pagatore dei risarcimenti ai soci. Le richieste ammontavano, tra giudiziali e stra giudiziali, a dieci miliardi a fine anno, ma anche per i 2,5 miliardi di richieste giudiziarie probabili erano stato accantonato solo un miliardo secondo il bilancio 2020.

Proprio ieri la pubblicazione dei risultati della trimestrale del 2021 di Mps ha rivelato che la Consob ha inserito la banca nella cosiddetta lista nera delle società che devono informare il mercato con maggiore frequenza sulla loro situazione finanziaria. L’inserimento nella black list che risale a fine aprile avviene quando si verificano condizioni precise: il 2020 si era chiuso con i revisori contabili che mettevano in discussione la capacità della società di garantire la continuità aziendale e Mps è anche una azienda in crisi finanziaria conclamata. La banca ha comunicato di non aver registrato alcuna carenza patrimoniale, e prevede che per il 31 marzo 2022 il buco possa essere «inferiore a un miliardo». Questo a patto di un aumento di capitale da due miliardi e mezzo, che però secondo il comunicato è stato rinviato, e che dovrebbe essere ritenuto percorribile dalla Ue. L’alternativa è una soluzione «strutturale», che però ancora non c’è.

 

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