Indagini, rischio opa e liti tra i Del Vecchio. Perché la partita su Generali si è riaperta

L’obiettivo era chiaro fin da principio: le Generali. E il percorso pure: dal Monte dei Paschi a Mediobanca per poi prendere il controllo del gruppo assicurativo. Ultima tappa a Trieste, quindi, per quella che Luigi Lovaglio, il manager a capo di Mps, aveva ribattezzato la «fase due», come si legge nella trascrizione di un colloquio, intercettato dalla Guardia di Finanza, tra il banchiere e Francesco Gaetano Caltagirone. Ancora pochi giorni fa il traguardo sembrava davvero a portata di mano. Espugnata Piazzetta Cuccia con l’offerta in Borsa di fine estate. Liquidato il capoazienda Alberto Nagel e insediata una nuova squadra di amministratori, Mediobanca era pronta ad affiancare i suoi nuovi soci di comando (oltre a Caltagirone e Mps, anche la holding Delfin dei Del Vecchio) nell’assalto finale alle Generali. Adesso però, quello che nelle attese di tutti, a cominciare dai palazzi della politica, molto interessati alla questione, era l’ultimo game di una partita dall’esito scontato, rischia nella migliore delle ipotesi di trascinarsi ancora a lungo. E c’è perfino chi arriva ad immaginare che la storia finisca con qualcosa di simile a una clamorosa ritirata degli scalatori, costretti a rivedere i loro piani strada facendo. Caltagirone indagato. L’ombra del patto occulto dietro il risiko bancario Concerto anche a Trieste Certo, fonti giudiziarie citate ieri dalle agenzie di stampa, precisano che l’inchiesta penale che vede indagati Caltagirone, Lovaglio e Francesco Milleri (a capo di Delfin) non tocca anche le Generali. È un fatto però che dalle carte d’indagine fin qui note emerge con chiarezza che l’attacco a Mediobanca, con un concerto tra soci mai comunicato al mercato e quindi in violazione della legge, era nient’altro che una scorciatoia per arrivare al Leone di Trieste risparmiando tempo e, soprattutto, denaro. Tanto che adesso prende consistenza anche l’ipotesi che la Consob, sulla base di quanto emerso dall’inchiesta giudiziaria, potrebbe obbligare Caltagirone e soci a lanciare un’opa sull’intero capitale di Generali. Al momento, sommando la quota del costruttore ed editore romano a quelle di Mps-Mediobanca e di Delfin, si arriva al 29,5 per cento. E visto che le Generali valgono in Borsa 52 miliardi, in caso di offerta obbligatoria l’esborso per i presunti concertisti potrebbe superare i 35 miliardi. Una soluzione di questo tipo, un terremoto con pochi precedenti dalle nostre parti, viene però considerata improbabile, almeno per il momento, dalla maggior parte degli osservatori di mercato. Fari accesi sul risiko bancario: chi ha spiato Caltagirone & co. Effetti collaterali L’inchiesta dei pm milanesi potrebbe però produrre altri effetti collaterali che avrebbero ricadute tutte da verificare sugli assetti di potere del mondo finanziario. Quanto è emerso finora dalle carte giudiziarie (ma altre novità non sono da escludere a breve) sembra per esempio rafforzare la posizione di Philippe Donnet, l’amministratore delegato delle Generali, da tempo bersaglio delle critiche di Caltagirone. Donnet, al timone di Trieste dal 2016, è stato riconfermato nell’incarico nell’aprile scorso su proposta di Mediobanca, ma dopo il ribaltone a Piazzetta Cuccia sembrava destinato (come minimo) a giocare in difesa per difendere la poltrona. Adesso invece il clima è cambiato. Difficilmente i nuovi soci forti di Trieste saranno disposti a stringere i tempi del cambiamento al vertice del gruppo assicurativo proprio mentre devono affrontare una tempesta giudiziaria che certo non si risolverà in poche settimane. Da parte sua neppure Donnet sembra pronto a sostenere la progettata alleanza nel risparmio gestito con i francesi di Natixis, un’operazione proposta e sostenuta dall’amministratore delegato, ma vista come il fumo negli occhi da Caltagirone e criticata anche dal governo, che la considera una sorta di cessione di sovranità sul risparmio nazionale a tutto vantaggio di Parigi. Entro dicembre il cda delle Generali potrebbe quindi decidere di archiviare il dossier Natixis allineandosi alla posizione di Caltagirone ed evitando così nuove contrapposizioni interne. Scalata a Mediobanca, ecco il ruolo del governo e di Giorgetti nelle carte dell’inchiesta Holding contesa Nei prossimi mesi sono altri i focolai d’instabilità che potrebbero mettere in discussione i nuovi assetti azionari a Trieste. Analisti e investitori ora guardano verso casa Del Vecchio dove il confronto, ora anche in tribunale, tra gli otto eredi del patron Leonardo riguarda anche la gestione del ricchissimo portafoglio di partecipazioni della holding Delfin, che controlla, tra l’altro, il 10 per cento di Generali e quasi il 20 per cento di Mediobanca. Milleri, che ha preso il comando operativo del gruppo, è finora riuscito, pur con qualche fatica, a tener dritta la barra della gestione seguendo la linea indicata dal fondatore. In prospettiva però l’inchiesta giudiziaria obbliga tutti gli azionisti di Delfin a riconsiderare la situazione sotto una luce nuova. È anche possibile che la famiglia metta da parte i dissensi per dare fiducia al manager indagato. Se invece le difficoltà di questi giorni dovessero invece approfondire la spaccatura tra gli eredi non è affatto da escludere che la discussione non si estenda anche al destino delle partecipazioni finanziarie. E allora tornerebbe ad aprirsi la partita per il controllo delle Generali, con suo ricco forziere di risparmi degli italiani che tanto sta a cuore al governo Meloni. Giorgetti il “facilitatore”. Mps, i pm contro il governo