La Generazione Z è pronta al salto tecnologico. Le imprese molto meno

L’ecosistema tecnologico italiano è in costante espansione. Secondo un rapporto promosso da Anitec-Assinform, l’associazione che riunisce le aziende che si occupano di alta tecnologia in Italia, il mercato digitale nazionale ha già raggiunto un valore di 81,6 miliardi di euro nel 2024, con proiezioni che puntano a 93 miliardi entro il 2028. Solo che questa crescita non riguarda tutti allo stesso modo: mentre l’intelligenza artificiale fa da traino nel mercato dell’innovazione, appena l’8,2 per cento delle imprese con almeno 10 dipendenti utilizza strumenti di intelligenza artificiale. Il punto è capire come le nuove tecnologie possano diventare davvero pervasive, superando le resistenze culturali e quel freno che rischia di paralizzare le aziende rispetto a concorrenti più abituati all’innovazione. Una nuova generazione A trainare un nuovo approccio verso la tecnologia potrebbe essere la generazione Z, a mano a mano che diventa maggioritaria nella forza lavoro. Per i veri nativi digitali ogni aspetto del lavoro potrebbe essere potenziato attraverso l’uso degli algoritmi, a partire già dalla ricerca di un’occupazione. Secondo uno studio promosso da Jobiri, un’azienda italiana di consulenza per trovare lavoro, il 58 per cento degli studenti usa già l’intelligenza artificiale per scrivere curriculum e lettere di presentazione. Il 42 per cento la utilizza per prepararsi ai colloqui, simulando domande e risposte. Il risultato è che potrebbe esserci persino uno squilibrio: mentre una nuova generazione di potenziali lavoratori è pronta ai nuovi mezzi della tecnologia, i responsabili delle risorse umane che li dovrebbero selezionare sono più indietro. Ancora legati al mantra del “si è sempre fatto così, perché dovremmo cambiare?”. Gli assistenti digitali sono i «nuovi camaleonti» Divari territoriali È ovvio che un discorso di questo tipo risente di un certo grado di generalizzazione. Ma parte da un dato, certificato da un’analisi promossa nel 2023 dalla Commissione europea. Solo il 45,8 per cento della popolazione italiana possiede competenze digitali di base: un valore che colloca l’Italia al quintultimo posto in Europa, sopra soltanto a Romania, Bulgaria, Polonia e Lettonia. Inoltre, sono evidenti anche gli squilibri territoriali: sempre lo studio di Jobiri evidenzia come il 64 per cento degli studenti universitari del nord utilizza l’intelligenza artificiale almeno una volta a settimana, contro il 39 per cento nel sud e nelle isole: un divario che rischia di trasformarsi in nuova disuguaglianza di opportunità. Secondo il Regional Innovation Scoreboard 2025 della Commissione europea, la provincia autonoma del Trento è la prima in Italia tra i territori ad “alta innovazione”. In una classifica che confronta 241 regioni europee, il Trentino si colloca al 91esimo posto, classificandosi come unica area italiana nel gruppo dei cosiddetti “innovatori forti”. Sfruttando le prerogative di una realtà autonoma, in questa piccola provincia alpina si è costruito un ecosistema in cui l’innovazione viene incentivata, sostenendo le aziende capaci di stare al passo con i tempi. Amore e morte nell’epoca disincarnata dei desideri artificiali Nel metaverso Esiste poi una startup, che ha la sede principale a Milano, che si è specializzata proprio in questo: sfrutta le potenzialità della tecnologia per creare ambienti di lavoro completamente nuovi, a servizio di quelle aziende che credono davvero nell’innovazione. Si chiama XMetaReal, progetta e costruisce nuove realtà virtuali nel metaverso, trasferendo in digitale un nuovo approccio alle risorse umane. «In questo modo le aziende riescono a utilizzare un linguaggio più coerente per le nuove generazioni», spiega Vittorio Zingales, ideatore di XMetaReal. «La Generazione Z fra poco rappresenterà il 30 per cento della forza lavoro. Fra cinque anni, insieme ai millenials, saranno la grande maggioranza». Ma in che modo il metaverso, o qualsiasi altra tecnologia immersiva, può trasformare il rapporto con il personale? Ci sono già degli esempi concreti, spiega Zingales. Per esempio, durante i “career day”, le aziende possono mettere a disposizione visori che hanno un’efficacia maggiore rispetto al classico volantino. E farsi conoscere così dai potenziali lavoratori: «I ragazzi oggi sono abituati a studiare la reputazione di un’azienda e spesso rifiutano delle offerte di lavoro se questa reputazione non li convince». Un altro esempio è questo: una persona al suo primo giorno di lavoro potrebbe indossare un visore per conoscere in maniera virtuale i colleghi e i valori dell’azienda, per esempio visitando gli stabilimenti che si trovano in tutto il mondo. Sono solo alcuni esempi, che fanno capire come l’innovazione può toccare anche gli aspetti apparentemente più tradizionali del lavoro. Ma come si fa a superare le diffidenze? «Io credo che ci sia sempre una barriera di resistenza quando non si conosce una tecnologia», risponde Zingales. «Serve un pizzico di coraggio e curiosità». In altre parole, servono manager che sappiano sgretolare lo scoglio della tradizione, per restare al passo con un mondo che sta già cambiando.