Da quando l’Istat ha iniziato a monitorare in maniera costante il livello di povertà degli italiani, non siamo mai stati così poveri noi italiani.

I dati pubblicati oggi dall’Istituto di statistica dicono che nell’anno in cui il paese è stato colpito dal Covid-19 gli italiani in povertà assoluta sono arrivati a 5,6 milioni, il 9,4 per cento, cioè poco più di due milioni di famiglie: è il livello più alto dal 2005. Ma la cifra ancora più preoccupante, o quella che dovrebbe preoccupare più tutti noi, è quella numero dei minori in povertà assoluta è addirittura al 13,5 per cento. Più di uno su dieci, in un paese in cui i minori sono pochi.

Il ruolo dei sostegni

Il livello di povertà relativa, cioè quello che misura quanto le famiglie siano in grado di acquistare un paniere di beni tipo, invece diminuisce, passando dal 10,1 per cento del 2009 all’11,4 per cento. Potrebbe sembrare una contraddizione e invece è il frutto delle misure di sostegno messe in campo nell’anno della pandemia che in generale hanno sostenuto il potere di acquisto delle famiglie, ma non abbastanza da arginare la caduta di una parte della popolazione italiana sotto la soglia della povertà assoluta.

Per lo stesso motivo diminuisce anche il valore dell’intensità della povertà assoluta, cioè l’indicatore, si legge nel rapporto Istat, «che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà, cioè “quanto poveri sono i poveri”».

L’incidenza delle famiglie povere è maggiore nel Mezzogiorno dove è cresciuta dall’8,6 per cento al 9,4, ma la crescita più ampia rispetto all’anno passato si registra al nord, con un aumento dal 5,8 al 7,6, quindi più che doppio rispetto a quello registrato nel sud.

Il risultato, calcola l’Istat, è una nuova mappa della povertà che vede il 47 per cento delle famiglie povere al Nord e il 38,6 per cento al Sud: i cittadini italiani poveri sono 2milioni e 500mila nel settentrione, con una grossa concentrazione nel nordovest e 2 milioni 259mila al sud.

La povera gioventù

Questi dati sono più facilmente comprensibili se si guarda a come i poveri si distribuiscono per fasce d’età. I poveri sono soprattutto giovani: tra i 18 e i 34 anni l’incidenza della povertà assoluta è all’11,3 per cento, mentre per gli over 65 è al 5,4 per cento. Ma ancora più interessante è il fatto che anche tra i 35-64 anni, cioè la fascia d’età che rappresenta per antonomasia, la popolazione attiva e che lavora il livello è al 9,2 per cento.

I giovani, bombardati da una retorica che li vuole bamboccioni e sussidiati, e invece da più di vent’anni sottoposti a condizioni di lavoro precario in un’Italia che non cresce, sono da tempo i più poveri del paese. Ma la pandemia è andata a intaccare una fascia di popolazione che prima riusciva a stare sopra la soglia, e che ora invece annaspano sotto quel livello.

Infatti, rispetto al 2019, la quota di poveri è aumentata tra le famiglie che hanno come riferimento del nucleo adulti dai 35 ai 44 anni arrivano a essere oltre una su dieci e ancora di più con un aumento di tre punti percentuali tra quelle in cui il riferimento è tra i 45 e i 54, che si fermano appena sotto il dieci per cento. Ed è aumentata soprattutto tra chi risulta avere una occupazione, sia dipendente che indipendente, mentre tra chi la cerca così come tra chi è in pensione è rimasta stabile. L’aumento maggiore si registra, infatti, nei nuclei familiari rappresentati da lavoratori inquadrati ai livelli più bassi.

Altro indicatore rilevante è il fatto che il numero di figli sia associato con un maggiore livello di povertà, mentre la presenza di anziani in famiglia con un livello più alto di ricchezza, fatta eccezione per gli anziani soli.

Più di una famiglia su cinque tra quelle con cinque componenti è in povertà assoluta. Mentre sono poveri assoluti l’8,5 per cento dei nuclei di tre persone. «La situazione si fa più critica se i figli conviventi, soprattutto se minori, sono più di uno», dice l’Istat, in sostanza nel caso in cui ci sia un solo genitore con due figli – per la maggioranza stiamo parlando di donne sole con figli – il livello si alza al 9,3 per cento.

Ovviamente questa tendenza si incrocia con la povertà delle famiglie straniere e degli individui stranieri in generale. Ma bastano le parole dell’Istat per spiegare la dinamica generazionale: «L’incidenza di povertà è invece più bassa, al 5,6 per cento, nelle famiglie con almeno un anziano e scende al 3,7 per cento tra le coppie in cui l’età della persona di riferimento della famiglia è superiore a 64 anni».

L’anno del Covid-19 ha disegnato come dicevamo una nuova mappa della povertà a livello territoriale, ma il sorpasso del nord sul sud cela un fenomeno più complesso. Considerando le macro aree, il numero di incidenza della povertà è maggiore nelle regioni del Mezzogiorno escluse le Isole, dove è povero assoluto più di una persona su dieci, segue in seconda posizione il nordovest, dove è povero assoluto circa uno su dieci, poi le Isole, il nordest e ben distaccate le regioni del Centro Italia.

Nel nordovest la percentuale di poveri è cresciuta di oltre tre punti percentuali passando dal 6,8 per cento al 10,1. E ancora, considerando i numeri in valore assoluto, le regioni del sud escluse le Isole e il nordovest viaggiano praticamente appaiate con 1,6 milioni di poveri.

La scuola è uno scudo

In un report che ci ricorda che la povertà non è stata affatto abolita se qualcuno avesse ancora dei dubbi, l’unica consolazione viene dal fatto che l’istruzione secondo l’Istat resta un antidoto alla povertà. Se si vuole contrastarla, dunque, si investa almeno con un livello pari a quello degli altri paesi europei, che ancora ci fanno arrossire di vergogna.

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